Al via la Cop30 a Belém. La politica resta indietro ma il clima non aspetta: «Possiamo evitare il peggio se agiamo ora»
Il segretario generale delle Nazioni Unite lancia l’allarme. Intanto gli Usa di Trump non partecipano al vertice per la prima volta in 30 anni, l’Ue appare divisa e lo stesso Brasile che ospita l’incontro se da un lato dichiara di aver ridotto la deforestazione amazzonica, dall’altro ha autorizzato nuove esplorazioni petrolifere
Nel cuore dell’Amazzonia, tra foreste millenarie e giacimenti petroliferi, è iniziata la Cop30. L’immagine simbolica di questa conferenza è chiara: da un lato, il polmone verde più grande del pianeta; dall’altro, l’estrazione di petrolio che ne minaccia l’equilibrio. Questo contrasto fotografa la crisi globale: a trent’anni dai primi vertici sul clima, la domanda resta la stessa: la politica sarà mai all’altezza della scienza?
Il monito dell’Onu e il contesto globale
Il vertice, ospitato dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, si è aperto con il discorso accorato del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: «La dura verità è che non siamo riusciti a mantenere l’aumento della temperatura sotto 1,5 gradi. Ma possiamo ancora evitare il peggio, se agiamo ora».
Le parole di Guterres non sono retorica: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato. Ondate di calore record hanno colpito Europa, Asia e Nord America; incendi devastanti hanno divorato milioni di ettari di foresta; inondazioni hanno causato migliaia di vittime e distruzione di infrastrutture in Africa, Asia e Sud America. La scienza parla chiaro: il tempo per agire si sta esaurendo.
Il divario tra parole e fatti
A Belém, la diplomazia climatica si misura su due fronti critici: il divario tra dichiarazioni e azioni concrete e quello tra impegni finanziari e fondi realmente erogati. Per rimanere entro l’obiettivo di 1,5°C, le emissioni globali dovrebbero ridursi del 63% entro il 2035. Eppure, nel 2024, l’azione climatica mondiale è cresciuta di appena l’1%.
Solo trenta Paesi e l’Unione europea hanno leggi vincolanti sulla neutralità climatica, coprendo appena il 17,7% delle emissioni globali. I settori dell’energia e dei trasporti restano i più inquinanti, mentre nei Paesi in via di sviluppo le emissioni continuano a crescere. Il modello economico globale rimane ancora profondamente dipendente dai combustibili fossili.
Il Brasile tra progressi e contraddizioni
Il Brasile, che ospita il vertice, si presenta con risultati contrastanti. Lula rivendica una riduzione del 50% della deforestazione amazzonica e un calo del 12% delle emissioni rispetto al 2023. Tuttavia, nello stesso tempo ha autorizzato nuove esplorazioni petrolifere alla foce del Rio delle Amazzoni, sostenendo che i proventi serviranno a finanziare la transizione verde.
Questa contraddizione pesa sulla credibilità del vertice: da un lato il Paese mostra capacità di leadership ambientale, dall’altro conferma la difficoltà globale di separare interesse economico e tutela ambientale. La sfida dell’Amazzonia è esemplare: proteggere la foresta significa salvaguardare la biodiversità, il clima globale e le comunità indigene, ma farlo senza compromettere lo sviluppo economico resta un’impresa complessa.
La politica internazionale in affanno
Il contesto politico globale non è incoraggiante. Gli Stati Uniti, guidati da Donald Trump, hanno disertato la Cop per la prima volta in trent’anni, ribadendo la loro posizione negazionista e allontanandosi nuovamente dall’Accordo di Parigi. Questa scelta indebolisce il sistema multilaterale e offre alibi ai grandi inquinatori del pianeta.
Anche l’Unione europea appare divisa e cauta. Paesi come l’Italia hanno rallentato l’adozione di obiettivi ambiziosi, come la riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040, preferendo traguardi più “realistici”. In un momento in cui la scienza invita all’urgenza, le esitazioni politiche sono segnali preoccupanti.
Le iniziative chiave di Belém
Non mancano però proposte concrete:
• Tropical Forest Forever Facility: fondo da 1 miliardo di dollari destinato ai Paesi impegnati nella lotta contro la deforestazione.
• Proposta Belém 4x: un’iniziativa di Brasile, India, Italia e Giappone per quadruplicare l’uso di combustibili sostenibili entro il 2035.
• Global Adaptation Goal: rilancio con nuovi strumenti finanziari per aiutare i Paesi più vulnerabili agli eventi climatici estremi.
• Fondo perdite e danni: destinato alle comunità colpite da disastri climatici, una promessa che cerca di rispondere al principio di giustizia climatica.
• Coalizione Amazzonica per la Transizione Energetica: un progetto regionale che unisce i Paesi del bacino amazzonico in iniziative di energia rinnovabile condivisa.
Queste proposte rappresentano un segnale positivo, ma senza strumenti di monitoraggio e obblighi vincolanti rischiano di rimanere parole sulla carta. La vera sfida sarà tradurre questi impegni in risultati concreti entro i prossimi anni.
Dati e numeri: l’urgenza è evidente
- Emissioni globali: +1% nel 2024.
- Riduzione necessaria entro il 2035: 63%.
- Paesi con leggi vincolanti sulla neutralità climatica: 30 + UE.
- Copertura delle emissioni da leggi vincolanti: 17,7%.
- Riduzione deforestazione Amazzonia: 50% in Brasile.
- Calo emissioni Brasile rispetto al 2023: 12%.
Questi numeri raccontano la realtà: i progressi ci sono, ma sono troppo lenti. La scienza indica una traiettoria precisa; la politica, invece, sembra ancora guidata da calcoli elettorali ed economici a breve termine.
La posta in gioco: credibilità internazionale
Belém avrebbe potuto essere la “Cop della verità”. La scienza parla chiaro, i dati sono allarmanti, e il tempo per agire si riduce ogni anno. La politica globale, invece, resta intrappolata tra interessi economici e miopia strategica. Se non si tradurranno impegni in azioni concrete, il rischio non è solo climatico: è la perdita di credibilità della comunità internazionale stessa.
Il vertice amazzonico è una cartina di tornasole. Da un lato, mostra che alcuni Paesi possono e vogliono guidare la transizione verde; dall’altro, rivela che senza cooperazione globale e responsabilità vincolanti, ogni promessa rischia di restare un annuncio mediatico. La posta in gioco non è più soltanto il clima, ma l’autorità morale del sistema multilaterale e la fiducia tra le nazioni.
A Belém il mondo si trova di fronte a un bivio: continuare a percorrere la strada dei compromessi e delle esitazioni o scegliere l’azione coraggiosa, guidata dai dati scientifici e dal principio di responsabilità. La foresta amazzonica, i ghiacciai polari, le città minacciate da inondazioni e siccità guardano tutti noi.
La Cop30 rischia di passare alla storia come il vertice dell’ennesima occasione mancata, oppure come l’inizio di una svolta concreta, misurabile, irreversibile. La differenza sta nelle decisioni che i leader mondiali prenderanno nei prossimi mesi. Perché il tempo non aspetta, e la scienza non fa compromessi.