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19/12/2025 ore 09.51
Ambiente

Metano disperso in atmosfera, in Calabria due impianti “osservati speciali”. Legambiente: «Rischio per il clima»

Il monitoraggio fa parte della campagna nazionale “C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso” e riguarda 6 infrastrutture regionali: in alcune rilevate concentrazioni oltre la soglia Ue

di Redazione Ambiente

In Calabria su 8.921 punti di misura validi, registrati in 6 infrastrutture del gas tra le province di Catanzaro e Crotone, 3.222 hanno riportato concentrazioni basse di metano (tra 10 e 100 ppm), 711 valori medi (tra 100 e 1.000 ppm) e 7 concentrazioni alte (superiori a 1.000 ppm). Questi, in estrema sintesi, i risultati dei monitoraggi effettuati da Legambiente nell’ambito dell’ottava e ultima tappa della sua campagna nazionaleC’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, con cui denuncia i rischi connessi all'estrazione, al trasporto e alla distribuzione di gas fossile in Italia, documentando le perdite e i rilasci di metano lungo l’intera filiera attraverso l’osservazione delle infrastrutture.

Partita lo scorso aprile dalla Basilicata, la campagna, giunta alla terza edizione e realizzata grazie al supporto di Environmental Investigation Agency nell’ambito della Methane Matters Coalition, ha fatto tappa anche in Piemonte, Campania, Marche, Lombardia, Veneto, Umbria, per arrivare infine in Calabria.

Qui i monitoraggi, effettuati tra il 24 e il 25 novembre attraverso l’ausilio di un “naso elettronico”, hanno riguardato complessivamente 20 elementi singoli – tra flange, valvole, tubature e sfiati – all’interno di tre impianti Remi situati a Maida, Lamezia Terme e Rocca di Neto e tre stazioni di valvola: una a Rocca di Neto e due nel territorio di Crotone. Di questi, in base alle soglie di riferimento utilizzate, 10 hanno mostrato concentrazioni irrilevanti, 9 basse e 1 in fascia media.

Tra gli “osservati speciali” l’impianto di regolazione e misura vicino Lamezia Terme: su 5 elementi totali con emissioni significative, un gruppo di flange e valvole ha presentato una concentrazione media di 261,3 ppm (livello “medio”), toccando un massimo di 1.302 ppm con 256 valori sopra i 500 ppm. Critiche anche una flangia e una valvola nell’impianto Remi a Maida che hanno registrato una media di 48 ppm e un massimo di 546 ppm, con più della metà dei punti di misura validi, precisamente il 56,2%, sopra i 10 ppm. Da attenzionare, infine, una flangia in una stazione di valvola vicino Crotone, con una media di 33 ppm e il 90,5% dei punti sopra i 10 ppm.

Dati che fotografano un rischio per il clima che - sottolinea Legambiente – sono sottostimati rispetto alla realtà: le emissioni sono state rilevate dagli operatori restando all’esterno del perimetro degli impianti; ciò significa che tra il “naso elettronico” utilizzato per il monitoraggio e il punto effettivo dell’emissione è stata mantenuta una certa distanza. Infatti, secondo le stime del Cigno Verde, se il monitoraggio fosse avvenuto a un metro di distanza, la distribuzione dei valori sarebbe cambiata significativamente: solo il 7,3% degli 8.921 punti di misura validi sarebbe irrilevante, il 41,5% basso, il 41,7% si troverebbe tra i 100 ppm e i 1.000 ppm (medio) e il 9,5% risulterebbe nella fascia alta.

«Con la tappa in Calabria – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – si conclude il viaggio “a caccia di metano” della campagna che da tre anni accende i riflettori su un gas ancora poco conosciuto, ma con un potere climalterante fino a 86 volte superiore alla CO₂. Le rilevazioni confermano che l’Italia è ancora lontana dall’azzeramento delle emissioni fuggitive, che dovrebbero verificarsi solo in casi eccezionali e non per carenze di manutenzione o controllo. I valori bassi devono essere letti con attenzione e una certa preoccupazione, perché anche le piccole perdite non solo devono essere individuate ma anche risanate tempestivamente dagli operatori, per evitare sprechi e di continuare ad alimentare la crisi climatica. Tante piccole perdite fanno una grande perdita. Nonostante alcuni progressi nel settore energetico, continuano a pesare l’assenza di regole nazionali realmente stringenti e le politiche che puntano su nuove infrastrutture a gas, con il rischio di vanificare i risultati raggiunti. È quindi fondamentale che il Regolamento europeo venga applicato senza indebolimenti, che il Governo rispetti tutte le scadenze previste e adotti norme serie e lungimiranti su monitoraggio, verifica e intervento, così da ridurre le emissioni di metano, in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030».

«La regione Calabria ha ancora un alto consumo di energia da fonti fossili – commentano Anna Parretta, presidente Legambiente Calabria, e Vincenzo Sicilia del Direttivo regionale –. Nel 2025, grazie all’utilizzo del naso elettronico, abbiamo monitorato per la prima volta le perdite di metano nella rete infrastrutturale calabrese, un pericolo serio quanto sconosciuto e sottovalutato. Sul territorio regionale sono presenti grandi infrastrutture di trasporto e stoccaggio di gas, come gli enormi gasdotti che arrivano dall’Africa e si dirigono verso il nord Italia, oppure di estrazione, come le trivelle per la ricerca di idrocarburi che interessano il mare e la costa jonica creando preoccupazioni ambientali. I grandi impianti, da monitorare in maniera accurata, si sommano alle migliaia di impianti domestici, spesso privi di controllo e potenziali fonti di pericolose micro-perdite. È indispensabile cambiare paradigma e realizzare una Calabria al 100% rinnovabile: è del tutto anacronistico e privo di senso che, in piena crisi climatica, la nostra regione sia sostanzialmente dipendente da energie fossili dannose sia per l’ambiente che per la collettività che, oltretutto, hanno alti costi sulle bollette dei calabresi. E che ancora oggi si pensi di realizzare inutili rigassificatori».

Il metano è un rischio per il clima e per la salute: il gas fossile è un problema sempre più rilevante per il clima, come dimostra la sua crescita sul totale dei gas serra, passata dall’11% nel 1990 al 14% nel 2023. Secondo l’Ipcc è responsabile di oltre un terzo del riscaldamento globale ma è anche tra le leve più efficaci e a basso costo per raggiungere gli obiettivi climatici, dopo solare ed eolico. Ridurne le emissioni è perciò cruciale per la decarbonizzazione, con effetti rapidi sul clima. Non bisogna sottovalutare che le perdite lungo la filiera fossile sprecano risorse e producono ozono troposferico, una sostanza nociva per la salute e l’agricoltura. Contenerlo significherebbe evitare 70.000 morti premature l’anno nell’Ue e danni agricoli pari a 2 miliardi di euro.

Per questo Legambiente, in questi mesi, con la sua campagna ha anche voluto sensibilizzare la cittadinanza e i rappresentanti politici su un tema fondamentale per la lotta contro l’emergenza climatica e denunciare la politica energetica del Governo italiano focalizzata sul gas fossile. Oggi, in concomitanza con la presentazione dei dati calabresi, l'associazione ambientalista diffonde a livello nazionale il report “Italia hub degli sprechi”, che traccia un bilancio finale sull’edizione 2025 dell'iniziativa e sui monitoraggi effettuati durante l’anno.