Pfas, gli inquinanti eterni che avvelenano la Calabria: Greenpeace individua pesci contaminati e acqua a rischio in tutta la regione
Alcune sono sostanze sicuramente cancerogene, altre sospette tali e comunque dannose per la salute. In due rapporti rilevati criticità e valori oltre norma mentre scarseggiano i controlli. Ma una proposta di legge in Consiglio regionale punta a mettere ordine
Le coste calabresi nascondono un pericolo. Triglie, naselli e crostacei spesso superano i limiti di sicurezza per le sostanze chimiche note come Pfas, i cosiddetti “inquinanti eterni” capaci di accumularsi nell’ambiente e nell’organismo umano. Per anni, però, i controlli in Calabria sono stati frammentari o quasi assenti.
A livello nazionale, la situazione non è migliore. Un rapporto di Greenpeace Italia, pubblicato a gennaio scorso, ha tracciato la prima mappatura completa della contaminazione da Pfas nelle acque potabili di 235 città italiane, di cui alcune calabresi, raccogliendo 260 campioni. L’indagine ha incluso anche i cosiddetti composti ultracorti – come il Tfa – finora poco monitorati nel nostro Paese.
I Pfas (sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche) sono utilizzati in prodotti di uso quotidiano – dai tessuti impermeabili alle pentole antiaderenti, dai cosmetici alle schiume antincendio – grazie alla loro resistenza all’acqua, al calore e agli agenti chimici. Purtroppo, questa stessa resistenza è un’arma a doppio taglio perché li rende quasi indistruttibili nell’ambiente, con effetti nocivi per la salute: alcune molecole – secondo la classificazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – sono cancerogene in maniera conclamata (come il Pfoa) o sospette tali (come il Pfos), altre possono danneggiare il sistema immunitario, interferire con il sistema endocrino o compromettere la fertilità.
Pesci al sapore di Pfas in Calabria
Tra il 2021 e il 2023, l’Arpacal, su richiesta di Greenpeace, ha analizzato pesci e crostacei lungo le coste tirreniche e ioniche. I risultati sono confluiti nel report dell’ottobre 2024 “Pescato al sapore di Pfas”.
In diversi casi, i livelli di Pfos — uno dei Pfas più pericolosi — hanno superato i limiti fissati dalla normativa europea per il consumo umano. I campionamenti hanno interessato località come Sibari, Roccella Jonica, Crotone, Lamezia Terme e Nicotera.
Quanto si legge nel rapporto non fa stare tranquilli: «I livelli di Pfos registrati nel biota da Arpa Calabria (…) confermano la presenza, in specie di notevole interesse commerciale, di Pfos sia nei pesci – triglia di fango (Mullus barbatus) e nasello (Merluccius merluccius) – che nei crostacei (Squilla mantis, conosciuta con il nome di canocchia o cicala di mare)».
E ancora: «Concentrazioni notevoli sono state registrate nei naselli e nelle triglie prelevate nella zona di Roccella Jonica (1,846 µg/kg e 1,367 µg/kg) e Sibari (triglia 1,825 µg/kg). Quello che sorprende, in particolare, sono i valori individuati nelle cicale di mare, una specie di crostaceo di diffuso uso commerciale – pescate sia nel mar Tirreno che nello Jonio. In due casi, i livelli di Pfos superavano il limite di 3 µg/kg previsto dal Regolamento europeo 2022/2388 per i crostacei: 4,1 µg/kg in una cicala di mare pescata a Lamezia Terme e 3,06 µg/kg in una pescata a Crotone. In una cicala di mare analizzata a Nicotera il livello di Pfos era prossimo al limite, pari a 2,95 µg/kg. In esemplari della stessa specie prelevati a Sibari e Roccella Jonica invece i livelli erano comunque elevati, pari a 2,08 e 2,12 µg/kg rispettivamente».
Acque al veleno dal Tirreno allo Ionio
Sul fronte delle acque, la situazione non è meno critica. Fino al 2022, in Calabria non risultavano controlli regolari sui Pfas nei corpi idrici superficiali. Solo nel 2023 Arpacal si è dotata degli strumenti necessari per le analisi. L’indagine confluita nel report “Acque senza veleni” del 2025 ha incluso diverse città calabresi — tra cui Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia, Crotone, Lamezia Terme e Corigliano Rossano — rilevando finalmente dati aggiornati sulla qualità dell’acqua potabile. Su 13 campionamenti effettuati, in 12 è emersa la presenza di almeno una molecola Pfas: un dato che fa della Calabria una delle regioni con l’incidenza più alta in Italia sui siti campionati. In diversi dei campioni prelevati è stato individuato il Pfoa, sostanza classificata come certamente cancerogena (nella tabella qui sotto i dati completi).
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Si legge nel rapporto di Greenpeace: «Al netto del numero differente di campioni analizzati per ogni regione, è possibile avere un’indicazione della diffusione della contaminazione su scala regionale considerando il numero di campioni contaminati rispetto al totale analizzati. Le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8 campioni contaminati su 8 analizzati), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31)».
La proposta di legge regionale
A luglio scorso era stato il consigliere regionale Ferdinando Laghi a presentare una proposta di legge per regolamentare l’impiego e il rilascio dei Pfas in Calabria. Proposta poi decaduta in seguito alla fine anticipata della legislatura, ma pronta a tornare a Palazzo Campanella, come dichiarato a LaC News24 dallo stesso Laghi subito dopo la rielezione. «La stiamo preparando per ripresentarla. Era già passata in Commissione, mancava poco per l’approvazione. È una legge fondamentale per la salute delle persone. I Pfas sono sostanze che non esistono in natura, che non degradano mai e sono classificate come inquinanti che determinano un rischio di cancerogenesi. Vengono usati perché funzionano bene: le padelle antiaderenti sono tali anche grazie ai Pfoa, gli abiti impermeabili contengono queste sostanze. Addirittura sono presenti nelle schiume antincendio. Ma adesso le alternative ci sono».
Il testo prevede la mappatura completa dei Pfas nel territorio, limiti sull’uso di prodotti a rischio, campagne di monitoraggio regolari per acqua, suolo e pescato, e un obbligo di trasparenza e informazione verso la popolazione. Laghi definisce la proposta «una scelta di responsabilità» per colmare un «grave vuoto normativo» e tutelare la salute dei cittadini. «In Calabria i controlli non ci sono – aveva spiegato a LaC –, Arpacal può farli ma non sono sistematizzati, per cui non sappiamo dove sono queste sostanze e quindi non si può bonificare».
La proposta, così come si legge nel testo presentato nella scorsa legislatura, «prevede l’istituzione di un Comitato Tecnico Scientifico Regionale, con il compito di monitorare l’evoluzione del fenomeno, supportare l’applicazione delle misure previste dalla legge e redigere annualmente una relazione tecnica al Consiglio regionale sugli sviluppi della contaminazione e sulle ricadute ambientali, sanitarie, agricole e territoriali».
Una regolamentazione necessaria
La strada non è semplice. I Pfas comprendono centinaia di molecole diverse, con proprietà e rischi differenti, e monitorarle tutte è costoso e complesso. Il ritardo storico nei controlli significa che molte esposizioni potrebbero essere già in corso, spesso senza che la popolazione ne sia consapevole.
Una traccia da seguire però c’è. La proposta targata Laghi potrebbe diventare un modello per altre regioni meridionali, aprendo la strada a interventi su larga scala che limiterebbero i danni per la salute e i costi futuri per eventuali bonifiche.
I dati raccolti da Greenpeace mostrano che i Pfas non sono un problema confinato a poche aree isolate o lontane da noi, ma che si tratta di una contaminazione diffusa, da cui la Calabria è tutt’altro che esente. Giusto sarebbe allora, da parte di politica e istituzioni, prenderne atto e agire di conseguenza. Per proteggere ambiente, acqua, pescato e, in definitiva, la salute di tutti.