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27/07/2025 ore 07.51
Ambiente

Picchi di 35 gradi sulle montagne calabresi, la riflessione: «Viviamo un cambiamento che pesa come un macigno»

I cambiamenti climatici mettono in allarme le comunità montane. La lettera di Giuseppe Spadafora: «Quelli che contano e comandano il mondo non si muovono. Si fanno solo la guerra. E poi solo chiacchiere, mentre il mondo brucia e le nostre montagne stanno morendo»

di Redazione

Riceviamo e pubblichiamo

«Caro direttore
Scrivo a questo giornale che seguo quotidianamente con molta attenzione. E vi ringrazio per il lavoro che state facendo.
Scrivo perché questa è per me come una confessione, considerato che vivo da decenni in Sila, e negli ultimi anni da solo, con il mio orto e i miei animali. Scrivo perché sono molto preoccupato, perché mai avrei immaginato che qui dove vivo, nel parco nazionale della Sila, precisamente nella Sila grande, non avrei mai pensato di dover lottare contro il caldo, ad una temperatura che in questi giorni viaggia attorno ai 30-35° ad un’altitudine di 1400 m sul livello del mare. Mai e poi mai si era vista una roba del genere nella nostra meravigliosa Sila.
La mia è la confessione di un uomo di montagna, che dopo puoi avere studiato, fino al diploma, ha deciso di vivere nella terra che era già di suo padre.
Io che ho trascorso praticamente gran parte della mia vita tra queste vette, abituato al fresco e anche al gelo, alla neve che copriva tutto l’inverno, oggi guardo il termometro salire sopra i 30 gradi e mi viene tanta rabbia e anche tanta tristezza.

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Proprio grazie a questo vostro giornale, leggo che negli ultimi giorni di luglio, località come Serra San Bruno, Camigliatello, Gambarie e i paesi del Pollino, le temperature hanno raggiunto livelli mai visti, più di 30 e anche 35 gradi.


L’altopiano della Sila, che tra i 1400 e i 2000 metri è una montagna meravigliosa, non ha mai conosciuto un’estate così infuocata. Monte Scuro, sempre freddo e carico di neve, sembra una fornace.
Io che vivo qui da più di quarant’anni, ho visto l’estate cambiare profondamente. È sempre stata breve, dolce, mai troppo calda. Ci si stava bene, con 26-27 gradi che rinfrescavano il corpo e la mente per settimane; poi la pioggia arrivava regolarmente a dare sollievo. L’inverno portava neve, tanta, capace di nascondere tutto sotto un manto spesso anche un metro. E sopra i 1400 metri era molta di più. Ricordo ancora la nevicata del 1981 che in diverse parti dell’altopiano della Sila superò i 3 metri. Anche quattro. Sí era un’eccezione, ma per tanti decenni 1 m di altezza si toccava regolarmente per tutto l’inverno. Anche fino a San Giovanni in Fiore dove ormai non nevica più da anni.


Negli ultimi 10 anni ho visto l’estate sempre più lunga e calda, caldissima, e poi tanta siccità, in una montagna che per secoli era ricchissima d’acqua, con tanti fiumi, torrenti, corsi d’acqua.
L’inverno del 2025 ha portato neve solo per qualche giorno, solo a metà gennaio, e per pochi centimetri. E poi più nulla.
Ci sta uccidendo un clima che sembra non appartenere più a questo luogo.
Le montagne che per generazioni sono state rifugio, forza e identità, si asciugano sotto un sole che sembra bruciare già da gennaio. Chi vive nei paesi e nei villaggi silani ora fa i conti con l'aria calda e pesante, quasi insopportabile. Dormiamo male, col sudore che non dà tregua.
E ogni notte mi chiedo: quanto ancora potremo resistere? Se perfino duemila metri diventano un forno, se la neve sparisce dove un tempo dominava, se la pioggia è solo un ricordo… allora il mondo intero sta girando alla rovescia.


Qualcosa non va, qualcosa si è rotto e questo fa molto paura.
Caro direttore, scrivo queste righe non per lamentarmi, ma perché voglio dire a tutti che non ho mai avuto paura per il futuro come in questi ultimi tempi. Viviamo un cambiamento che pesa come un macigno. Se anche le nostre montagne cedono, se la Sila o il Pollino e l’Aspromonte si trasformano in una bolla di calore, allora nessun luogo al mondo è più al sicuro.
Io rimango qui, testimone di un’epoca che piano piano svanisce, con la neve nel cuore e la terra che si sgretola sotto i piedi. E se un giorno parleranno di deserto nella Presila crotonese, sappiano che c’è stato un uomo che lo ha visto nascere, lentamente, centimetro dopo centimetro. Ma non ha potuto fare nulla. Nulla nemmeno davanti alla scomparsa dei torrenti e al prosciugarsi dei nostri laghi.
Nessuno sta facendo nulla. Quelli che contano e comandano il mondo non si muovono. Si fanno solo la guerra. E poi solo chiacchiere, mentre il mondo brucia e le nostre montagne stanno morendo.
Scusatemi per lo sfogo».


*Giuseppe Spadafora