A Reggio la marcia per le vittime di mafia dimenticate, il padre di un ragazzo bruciato vivo 20 anni fa: «Voglio sapere perché»
Quattro tappe lungo il corso Garibaldi nel centro storico della città dedicate a quattro storie. Ricordati anche Antonino, Bruno, Angela. Iniziativa del clan Déjà-Vù dell’Agesci Reggio Calabria 7 con Libera, New Deal e le comunità scout reggine
Vittime innocenti delle mafie e le loro storie dimenticate hanno scandito la marcia promossa ieri nel cuore del centro storico di Reggio Calabria dal clan Déjà-Vù dell’Agesci Reggio Calabria 7 con Libera, New Deal e le comunità scout reggine. Lungo il corso Garibaldi, da piazza De Nava fino a piazza Duomo, facendo tappa a piazza Italia e a piazza Camagna, quattro storie per tenere accese la memoria e la speranza.
Una tragica coincidenza, una vendetta trasversale, un'onta da lavare, una morte orrenda a 18 anni ancora senza verità. Le storie di Antonino Scirtò, Bruno Clobiaco, Angela Costantino e Daniele Polimeni sono legate da un tragico destino.
Presente anche un familiare, Pietro Polimeni, papà di Daniele. Era il 30 marzo 2005 quando la macchina del giovane veniva ritrovata bruciata a San Gregorio, nel reggino. Del giovane nessuna notizia, nessuna traccia fino al 1 aprile successivo quando il suo corpo veniva ritrovato divorato dalle fiamme accanto all'acquedotto di Favazzina, vicino a Scilla, sul litorale tirrenico di Reggio Calabria. Avrebbe compiuto 19 anni nel maggio successivo.
L'autopsia avrebbe rivelato che Daniele, prima tramortito con un colpo alla nuca, era stato dato alle fiamme ancora vivo. Ancora, dopo 20 anni, non si conoscono il movente e i responsabili di una simile violenza. Una morte orrenda, rimasta senza colpevoli, che angoscia ancora il cuore di papà Pietro, come ha fatto con quello della madre Anna Adavastro, consumata da un male che le ha fatto raggiungere l’amato figlio nel 2015. Anna non aveva mai smesso di cercare, seppur invano, la verità.
«Senza mio figlio e senza verità»: il dolore del papà di Daniele, ucciso a Reggio 16 anni faL'appello di papà Pietro
«Un accanimento verso mio figlio che ancora non capisco. Lo hanno bruciato vivo con il gasolio, combustibile che agisce con maggiore lentezza. Io continuo a volere sapere almeno il perché».
Continuo a leggere su IlReggino.it.