A tu per tu con gli anziani, patrimonio dell’umanità da difendere: «C'è tanto egoismo, oggi manca condividere»
Inizia oggi il viaggio di LaC alla riscoperta di un mondo dal valore inestimabile. Partiamo da Caraffa, qui abbiamo incontrato Elisabatta Petruzza: «I vecchi hanno tanta esperienza e possono dare consigli e suggerimenti per evitare il ripetersi degli sbagli»
di Francesco Graziano
"La migliore aula del mondo è ai piedi di una persona anziana". Porto con me questa frase non so da quanto tempo. Si è ficcata in una crepa della mia memoria chissà quando, probabile rimanenza di una piacevole lettura estiva in riva al mare. Faccio una rapida ricerca su Google per assegnare all'espressione virgolettata una paternità che al momento mi sfugge. Appartiene a Paulo Coelho. E la notizia non mi sorprende più di tanto.
Mi aggiro tra i vicoli del centro storico del mio paese, Caraffa di Catanzaro. Un grappolo di case basse, allineate come a sorreggersi le une con le altre. Intravedo nella loro comune altezza l'espressione di una comunità che pretende di crescere assieme. Cammino sotto un cielo di marzo a corto di sole e di tanto in tanto mi fermo per salutare qualcuno. D'altronde abitare in un piccolo borgo significa conoscere tutti e talvolta ho come l'impressione che le pareti di casa mia si spostino fino a coincidere con il perimetro esatto dell'intero paese. E questo mi fa sentire protetto.
"La migliore aula del mondo è ai piedi di una persona anziana". Torna prepotente a bussare nella mia testa questa frase. E non è un caso. Ho un compito da portare a termine ed è per questo che le parole del celebre scrittore brasiliano mi rincorrono tra le vie strette di Caraffa, mentre calpesto mettendo sotto le suole metri di asfalto ed ombre di nuvole. Il direttore responsabile di LaC News24 Franco Laratta mi ha affidato un incarico. L'ennesimo. Ma questo - ad essere onesti - mi piace più degli altri. «Ascoltiamo gli anziani, diamo loro parola - mi ha detto. - Facciamo che si confrontino con i giovani, che parlino con voi». Così, eccomi qua. Pronto a bussare, davanti l'abitazione di una mia concittadina.
Elisabetta Petruzza, questo il suo nome. Porta quest'oggi sulle spalle uno scialle da lei ricamato e sul volto una manciata di rughe che sottolineano involontariamente la bellezza dei suoi grandi occhi verdi. Le dico subito che sono lì per fare una chiacchierata e, prima ancora di condurre la frase al punto, con il suo fare gentile, già mi offre un caffè. Mi accomodo dunque in cucina e, per comunicare meglio, spegniamo la tv impegnata, come accade sempre più spesso, a raccontare dei tanti conflitti aperti sulla faccia del mondo. Colgo l'occasione per chiedere alla signora Elisabetta, che sin da piccola si dedica alla scrittura di poesie oltre che ai lavori domestici ed in campagna, il motivo per il quale a suo avviso questo vecchio pianeta continui a farsi del male da solo. «C'è molto egoismo in giro - commenta -. Guardando la televisione capisco che c'è tanta intelligenza ma troppa ignoranza.
L'egoismo arriva da lì, dal non capire quanto sia importante discutere e trovare delle soluzioni per arrivare alla pace. Bisogna sedersi attorno ad un tavolo prima delle disgrazie, lavorare tutti assieme affinché le cose brutte non accadano. Il potere e i soldi passano, dobbiamo mettercelo in testa».

Dai grandi problemi che affliggono il mondo, indirizzo la discussione verso un'altra direzione, per portarla fisicamente a noi più vicina. «Com'è vivere in un comune piccolo come Caraffa?», le chiedo. «Penso che sia meglio che vivere in città. Qui si vive in tranquillità - racconta -. Soprattutto una volta, nel vicinato, ci aiutavamo a vicenda. Certo, probabilmente abbiamo meno comodità. Ma la vita semplice, genuina, che trascorriamo qui non è male. E poi da noi ci sono tante tradizioni che altrove non esistono». Confesso di pensarla allo stesso modo e tra me e me canticchio, restando in tema, il verso di un brano di Umberto Tozzi: «Qui si ingoia un po' di amaro e dolce, come serate di provincia».
«I giovani, non tutti, hanno molte cose e non se ne rendono conto, le danno per scontate. Ai tempi nostri - prosegue la signora Elisabetta - ci accontentavamo di quel poco che avevamo. Lavoravamo tanto e i soldi erano pochi. I sacrifici però non ci spaventavano. Mi ricordo inoltre che spesso ci riunivamo per stare insieme e ci divertivamo molto. Condividevamo anche bei momenti in allegria, tra organetti e risate. Alcuni giovani di oggi pensano di essere intelligenti e di non aver bisogno degli anziani, ma non è così. I vecchi hanno tanta esperienza e possono dare consigli e suggerimenti per evitare il ripetersi degli sbagli».

Tra un aneddoto ed una poesia letta a voce alta, si è fatta sera. È giunto per me il momento di rincasare. E mentre indosso il giubbino e prometto di tornare presto per proseguire il discorso dal punto esatto in cui è stato interrotto, capisco che non possiamo lasciar cadere a terra neppure una parola dei nostri anziani. Troppe volte, purtroppo, cadiamo invece nell'errore di non ascoltare chi è più grande di noi.«Siamo ragazzi», ci ripetiamo.
Come se fosse una valida giustificazione alla nostra eterna corsa, un'attenuante alla frenesia che non ci consente di scendere a patti con la vita lenta di cui avremmo bisogno. Voglio dire ai miei coetanei e a me stesso: rallentiamo finché siamo in tempo. Seguiamo il passo rilassato di chi ci ha preparato la strada per arrivare fino a qui, lasciamo che la fretta si liberi in fretta di noi. Consegnamoci al confronto, andiamo a scuola di saggezza. Prendiamo posto nella migliore aula del mondo che - come ci ha insegnato Coelho - è ai piedi dei nostri anziani. Parliamo, discutiamo con i custodi della memoria. Il passato è fragile, così delicato che basta il nostro colpevole silenzio per mandarlo per sempre in mille pezzi.