Sezioni
Edizioni locali
24/06/2025 ore 07.27
Attualità

Abbiamo dimenticato Levi, Calvino e Ungaretti. E la guerra è tornata, più vicina che mai

Nel 2025, con l’intelligenza artificiale che avanza e la storia a insegnarci invano, il grido per la pace è più urgente che mai. Ricordare è resistere. Sentire è scegliere. La guerra non è mai altrove.

di Ernesto Mastroianni

La guerra non è mai altrove. È qui. È sempre più vicina di quanto vogliamo credere. Entra dalle fessure delle notizie che non leggiamo, si siede accanto a noi mentre ceniamo in pace, ci accompagna nella quotidianità, anche quando facciamo finta di non sentire. Scorre negli occhi dei bambini che non piangono più, perché hanno imparato che a volte non serve. La crudeltà umana supera di gran lunga la primordialità.

Primo Levi scriveva: "Considerate se questo è un uomo…” E quel grido, trattenuto tra le righe, oggi vale più che mai. Perché la guerra toglie il volto alle persone, le riduce a numeri, a macerie, a cenere. Levi, da sopravvissuto, non chiede vendetta, ma memoria. Una memoria che è resistenza, che è scelta di non voltarsi.

E Calvino, con la sua lucidità, osservava quanto sia sottile il confine tra ordine e disumanità. In una lettera scrisse: “In tempo di guerra tutto diventa ridicolo e atroce nello stesso tempo”. Ridicolo per l’assurdità, atroce per il sangue.

E poi Ungaretti, con le sue mani sporche di fango e di silenzio, con quel verso asciutto che pesa come una pietra: “Si sta / come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”. Non c’è difesa davanti a questa immagine. È una resa che contiene l’invocazione di un mondo intero: salvateci!

Eppure la guerra ritorna. Sempre. Cambiano le armi, cambiano i volti, ma non il dolore.
Lo dimentichiamo troppo facilmente noi, con i nostri telefoni carichi, le nostre notti quiete, le nostre libertà. Ma intanto, qualcuno, da qualche parte, oggi sta perdendo un figlio. Sta stringendo tra le mani un corpo che non scalda più. E quel respiro di chi ha amato profondamente è spezzato. È morto, insieme alla vita atrocemente strappata. In guerra è questo che succede. Qualcuno da qualche parte sta guardando un cielo che non conosce più stelle. Il dolore è atroce, la distruzione altrettanta.

Forse, è il momento di fare quello che la guerra non vuole: ascoltare, ricordare, sentire. Farci carico del peso degli altri, anche se non li conosciamo. Perché solo quando il dolore dell’altro diventa anche il nostro, allora siamo davvero vivi.

È arrivato il momento di gridare al mondo: Fermate la guerra! Nel 2025, con un mondo informatizzato ai massimi livelli, con l'intelligenza artificiale che bussa prepotentemente alle nostre porte, non è più possibile fare la guerra. Non si può. Non si deve. La guerra appartiene a secoli passati, ad epoche estinte, non al 2025.

"Basta guerra!" Questo è un grido collettivo, di una società che non ha più voce, perché le urla si sono perse tra le macerie e il pianto dei bambini senza più infanzia. “La guerra è sempre una sconfitta per l’umanità intera”, scriveva Gino Strada.
E Ungaretti, nei suoi versi, aveva già detto tutto: “Non ho mai avuto tanta vita / come in quel momento in cui / l’ho sentita mancarmi.”

Basta. Basta madri che scavano nella terra per ritrovare i figli. Basta morti senza nome. Basta orrore. La storia ci ha già insegnato tutto, ma noi abbiamo dimenticato ogni lezione. È tempo di ritrovare la dignità dell’uomo, il valore della pace, la sacralità della vita. È tempo, ora più che mai, di scegliere da che parte stare. Io lo so: dalla parte della pace. Dalla parte della speranza. Dalla parte di chi non vuole più vedere il cielo bruciare.