Addio al pontefice che proclamò santo Angelo d’Acri, il frate calabrese amico dei poveri
Il 15 ottobre 2017 papa Francesco pronunciò la formula latina di canonizzazione innalzando agli altari “l’apostolo delle Calabrie”. Il ricordo di quella domenica è indelebile nella memoria della comunità di Acri
Con la morte di Papa Francesco, avvenuta ieri, si chiude una delle stagioni più rivoluzionarie per la Chiesa Cattolica. Il Pontefice argentino, primo gesuita e primo papa sudamericano della storia, ha lasciato un'impronta indelebile nel cuore dei fedeli, non solo per il suo stile semplice e la sua “difesa degli ultimi”, ma anche per i segni concreti con cui ha saputo valorizzare le radici della fede popolare. Tra i numerosi atti del suo pontificato, ce n’è uno che ha interessato da vicino la Calabria: la canonizzazione di fra Angelo d’Acri, proclamato Santo il 15 ottobre 2017 in una solenne cerimonia che si svolse in Piazza San Pietro.
Quella domenica d’autunno fu una vera festa per tutta la Calabria, e in particolare per la comunità di Acri, che vide uno dei suoi figli più illustri salire agli onori degli altari. A Roma giunsero in oltre 6.000 dalla regione del Sud, insieme al sindaco di Acri, Pino Capalbo, a testimoniare l’orgoglio e la devozione di un popolo. Papa Francesco pronunciò la formula latina di canonizzazione, iscrivendo ufficialmente il nome di Angelo d’Acri nel Catalogo dei Santi.
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Il Pontefice definì Angelo d’Acri “Santo della Chiesa Universale”, e ne decretò il culto esteso a tutta la cristianità: «Dichiariamo e definiamo Santo il Beato Angelo d’Acri e lo iscriviamo nell’Albo dei Santi… in tutta la Chiesa essa sia devotamente onorato tra i Santi», disse Francesco. Angelo d’Acri divenne santo andando ad aggiungersi agli altri santi calabresi tra cui San Francesco di Paola, Sant’Umile da Bisignano, San Nicola da Longobardi, San Fantino, San Gaetano Catanoso e San Nilo da Rossano.
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Chi era Angelo d’Acri?
Nato come Lucantonio Falcone nel 1669 da una famiglia povera, visse un’esistenza segnata dal tormento vocazionale, dalle cadute e dalle rinascite. Per ben due volte, infatti, abbandonò il convento per poi ritornarvi, guidato dalla grazia e da un desiderio sempre più forte di consacrarsi a Dio. Dopo molte prove, fra cui anche l’iniziale fallimento come predicatore, ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1700 e scelse uno stile umile e diretto, capace di toccare il cuore della gente semplice. Non fu un erudito, ma un uomo del popolo, che parlava al popolo e per il popolo. Per questo fu soprannominato “l’apostolo delle Calabrie”.
Le sue missioni si estesero ben oltre i confini di Acri, toccando tutta l’Italia meridionale, da Napoli all’abbazia di Montecassino. La sua predicazione era incentrata sulla Passione di Cristo e sulla devozione alla Madonna Addolorata. Il frate cappuccino era solito piantare dei Calvari – tre croci – nei luoghi dove predicava, simbolo tangibile del suo amore per la Croce.
Angelo non fu solo un predicatore, ma anche un uomo di azione. A lui si devono importanti opere religiose e sociali ad Acri, tra cui la fondazione del monastero delle “cappuccinelle” – le Sorelle Povere di Santa Chiara – avviato con la benedizione della famiglia dei principi Sanseverino-Falcone. Fu guida spirituale e consigliere di nobili, sacerdoti e vescovi, ma soprattutto rimase sempre vicino agli ultimi, ai poveri, agli emarginati.
Morì il 30 ottobre 1739, e già pochi anni dopo la sua fama di santità spinse la Chiesa ad aprire il processo canonico, culminato nella beatificazione nel 1825, sotto Papa Leone XII.
Il miracolo di Sant’Angelo
Ma fu solo nel 2010 che il miracolo decisivo per la canonizzazione arrivò: un giovane diciassettenne (Salvatore Palumbo ndr), vittima di un grave incidente con un quad, entrò in coma a seguito di una commozione cerebrale gravissima. Tutta la comunità si unì in preghiera e la famiglia di Salvatore portò accanto al suo letto una reliquia del Beato Angelo. Dopo due mesi, il ragazzo si risvegliò in piena salute, riprese la sua vita normalmente e si diplomò ragioniere. Un evento inspiegabile dalla scienza, che la Chiesa ha riconosciuto come miracolo, necessario per l’ultima tappa verso gli altari.
La morte di Papa Francesco lascia un vuoto nella Chiesa universale. Ma il suo ricordo resterà vivo anche attraverso i gesti che hanno dato voce ai "santi nascosti” della storia. Sant’Angelo d’Acri ne è un simbolo potente, non solo per i calabresi, ma per tutti coloro che cercano in un santo un fratello e un compagno nel cammino della fede. E sarà sempre anche “il Santo di Papa Francesco”.