«Avvocatessa di giorno, escort di notte: scegliendo di perdermi ho ritrovato me stessa»
La scoperta dei segreti di suo marito induce una professionista 50enne ad aprire un profilo su un sito di incontri a pagamento e riscoprire il linguaggio primitivo del desiderio. Questo è il suo racconto
Ecco le vostre storie che narrano di amori e di passioni. Questa è la terza storia arrivata alla nostra redazione e che vi proponiamo ovviamente in forma anonima.
Se anche tu hai una storia da raccontarci scrivici a redazione@lactv. it.
Mi chiamo Elena e sono un’avvocatessa. Sono sempre stata una donna estremamente sensuale; di giorno indosso tailleur firmati e calzo tacchi altissimi con disinvoltura, come se fossero parte del mio corpo. Severissima nelle aule del tribunale della mia città, tanto da essere chiamata “la regina del codice civile”, sono una donna che non passa inosservata.
Non sono giovanissima, ho cinquantadue anni, ma sono anni portati con la grazia sicura e con il fisico di chi sa quello che vale. Nonostante gli sguardi pieni di desiderio di molti uomini, non ho mai tradito. Da donna di destra sono stata tradizionalista fin dalla mia adolescenza ed ho sempre creduto nel matrimonio e nell’amore. Ma una sera il velo di sicurezza che proteggeva la mia vita si è infranto di colpo. Ricordo quella sera come se fosse ieri: ero rientrata a casa prima del previsto.
«Sara, ti ho amato ma non ho saputo dirtelo e così sono diventato un’ombra»Mio marito era andato a giocare a Padel ed aveva lasciato il suo smartphone sul tavolo della cucina. Fu allora che vidi il messaggio: 4 cuori rossi e poi “ti aspetto al solito hotel” firmato Marco Padel. La leggerezza volgare della complicità proibita era concentrata in poche parole ed in un nome che nascondeva quello che era ormai ovvio. Rimasi fredda, concentrata e copiai il numero. Non urlai, decisi di aspettare e, quando Carlo mio marito rientrò, non chiesi neanche spiegazioni. Rimasi lì, ferma; erano anni che non mi sfiorava, i nostri erano ormai due corpi diventati estranei. Sopperivo alla mancanza di sesso con i miei sex toys da molto tempo, ma non avevo mai pensato che mio marito mi tradisse. Come ero stata ingenua, avevo vissuto nella mia bolla incantata.
Aspettai qualche giorno per riordinare le mie idee, vivendo i giorni successivi come se fossi la spettatrice della mia stessa esistenza. Continuai a lavorare, a rispondere alle mail, a sorridere ai miei clienti, ma dentro di me qualcosa si agitava, ma non era un dolore netto, ma era voglia di rivalsa. Così decisi di riconquistarlo; riscopriì il piacere sottile di scegliermi un completino intimo. Andai da Intimissimi, optai per un rosso scuro, elegante, completo di reggicalze e calze velatissime.
Quella sera mi truccai con cura. Vedendomi allo specchio, così sensuale ed erotica, provai un brivido intenso, come quando avevo trent’anni. Lo aspettai nel letto, mezza nuda, senza perizoma, sotto una vestaglia di seta. Ma lui, entrando in camera, mi guardò distrattamente e disse solo: "Ho avuto una giornata lunga amore".
Quella notte non chiusi occhio. Il giorno dopo decisi che dovevo scoprire chi si nascondeva dietro il nome di Marco Padel, così impostai il numero anonimo e chiamai; volevo sentire la voce della mia rivale. Ma non rispose nessuna voce sensuale, perché fu la voce di un uomo a rispondermi. Restai letteralmente sconvolta: mio marito era frocio, non usai nella mia mente il termine gay, ma proprio frocio. Dovevo parlare con qualcuno e pensai subito a Chiara, una mia amica molto diversa da me, che viveva la sessualità con estrema libertà.
Ci incontrammo in un cocktail bar di periferia, dalla atmosfera elegante e lontana da sguardi indiscreti. Contrariamente a quello che avevo immaginato, Chiara ascoltò la mia storia divertita, non riusciva a smettere di ridere. Mi disse che dovevo riscoprire la mia sessualità, esattamente come aveva fatto mio marito, mi suggerì di osare e mi mostrò un sito di incontri, in cui le donne si offrivano di accompagnare gli uomini. Il sito era discreto, elegante. Donne adulte, colte, indipendenti. Nulla a che vedere con l’immaginario degradato della prostituzione da strada. Vedendo quei profili, una parte di me, quella che da anni dormiva nella insoddisfazione della plastica del vibratore, si svegliò. Era una parte antica, femminile, misteriosa. Quel lato che Jung avrebbe chiamato l'Ombra: non era un lato negativo, ma era un terremoto di passione rimosso, incompreso, mai ascoltato.
Il giorno dopo feci delle foto allo specchio, eccitandomi alla vista del mio corpo sinuoso ed ancora provocante. Scelsi uno pseudonimo: Eva Notte. Lo digitai lentamente, sentendo quel nome aderire alla mia pelle come una seconda identità. Aprii il profilo con poche righe, taglienti e sensuali: “Discreta. Intelligente. Sensibile al potere della mente e della pelle.” E poi attesi. Col cuore fermo, e un brivido lungo la schiena. Il primo incontro fu in una suite elegante, poco lontano dalla stazione. Una stanza neutra, silenziosa, carica di attesa. Lui era un uomo distinto, più grande, lo sguardo incerto, ma le mani, quelle no, erano decise, affamate, come se avessero riconosciuto in me qualcosa che io stessa avevo dimenticato.
Non fu solo sesso. Fu un rito, un rituale in cui la forza della sensualità tornò a vivere in me. Il modo in cui mi tolse lentamente le calze, con delicatezza devota, come se stesse svelando un segreto sacro, mi fece sentire… sovrana. Non giovane. Non perfetta. Ma piena di erotismo. Viscera, pelle, potere. Il corpo di una donna vera, viva, segnata dal tempo ma mai così presente. E per la prima volta, non mi sentii osservata. Mi sentii vista, mi sentii bramata e mi piaceva, non provavo vergogna, ma ammirazione per me stessa. Rimasta sola nel bagno della suite a rivestirmi, capii che quella notte si era acceso qualcosa. Una fiamma lenta, densa. Non era solo eccitazione, era verità. Io non ero alla fine di un ciclo: stavo rinascendo. Eva Notte divenne parte di me, ogni incontro era una soglia, un’esplorazione sensoriale e psichica. Alcuni uomini cercavano un’eco della loro anima. Altri volevano smarrirsi nella mia pelle. Alcuni volevano guidare. Altri, essere guidati. E io imparavo. Su di me, sulla fame, sul silenzio, sulla vulnerabilità come forza.
Di giorno parlavo di giustizia, codici, equilibri fragili tra le parti. Di notte, imparavo il linguaggio primitivo del desiderio. Non c’era vergogna, ma solo eccitazione e lucidità. Il mio corpo non era più un oggetto da offrire per dovere, ma un regno che si apriva solo a chi sapeva attraversarlo con rispetto. In ogni amplesso lasciavo andare qualcosa: un senso di colpa, un’illusione, un addio. E in quello svuotamento, trovavo spazio. Avevo trovato di nuovo me stessa.