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25/11/2025 ore 12.25
Attualità

Le donne hanno cambiato (e cambiano) la Calabria ma due su tre non lavorano o hanno stipendi più bassi degli uomini

Le condizioni sono molto cambiate rispetto a un passato scandito dalle attese delle figure maschili e dal rispetto rigoroso delle tradizioni con ruoli definiti fin da bambine. Ma il gender gap persiste: lo dicono i numeri

di Gabriella Chiarella

Nell’estate 2025, durante il nostro viaggio tra i borghi della Calabria, ci siamo seduti sulle panchine di piazze antiche, dove anziani di diversi comuni ci hanno raccontato le loro estati di un tempo. Ascoltare quelle storie è stato come aprire un album di memorie; belle memorie, senza dubbio. Lo si notava dai sorrisi malinconici con cui venivano raccontate. Eppure, c’è una nota amara che accomuna ogni racconto: la condizione della donna in passato.

Le signore raccontavano fieramente di quanto fossero legate ai padri, e poi, una volta sposate, al marito. Amara, perché il tipo di legame emerso non era tanto affettivo quanto di dipendenza, reverenziale. Vivevano con un forte senso del dovere familiare, mentre lo spazio per le loro aspirazioni personali non era contemplato. O meglio: venivano educate fin da piccole a far coincidere le proprie aspirazioni con la vita da casalinga, spingendole a credere che fossero quelli i loro unici desideri. E chi aveva un animo “ribelle” (perché semplicemente provava a uscire fuori da quello schema) riceveva conseguenze indicibili. 

Quei racconti permettono di misurare quanto la Calabria sia cambiata. Oggi donne calabresi non solo gestiscono imprese, ma sono al vertice di storiche aziende familiari, innovano, partecipano alla vita pubblica. Un esempio emblematico è quello della famiglia Amarelli: Margherita Amarelli, eletta nel consiglio generale dell’Unione Italiana Food, rappresenta una leadership moderna e di respiro internazionale. La tradizione della liquirizia Amarelli, plasmata da generazioni, oggi è portata avanti anche da figure femminili forti come Pina Amarelli, Cavaliere del Lavoro, che racconta con orgoglio il percorso imprenditoriale femminile della sua famiglia.

Ma non è l’unica: la Calabria vanta altre imprenditrici che hanno rotto barriere importanti. Giuseppina Meliadò Capua, ad esempio, ha guidato per decenni l’azienda “Capua 1880”, specializzata in essenze agrumarie, con un’amministrazione al femminile già in tempi in cui casi come il suo erano rarissimi. E poi c’è Dorota Pyrlik, imprenditrice straniera diventata un simbolo della creatività calabrese: la sua azienda “Vetri Preziosi” produce vetro artistico e ceramica, esportando anche a marchi di lusso; per lei il successo è frutto di meritocrazia, rete e tenacia.

Sul fronte dell’attivismo culturale, non possiamo dimenticare Lella Golfo, pioniera dei diritti delle donne in Calabria, che nel 1982 fondò l’associazione “Buongiorno Primavera” e dall’89 promosse il Premio Marisa Bellisario per le donne manager.

Anche sul versante politico la Calabria ha esempi storici di alto valore. Già nel 1946, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, furono elette tre donne sindaco in comuni calabresi: Caterina Tufarelli Palumbo Pisani a San Sosti, Ines Nervi Carratelli a San Pietro in Amantea e Lydia Toraldo Serra a Tropea. Un segnale potente di partecipazione politica femminile, che all’epoca rappresentava una rottura culturale profonda.

Nonostante questi esempi concreti che dimostrano come l’imprenditoria femminile nella regione mostri segni di aumento (circa il 23,56% delle imprese calabresi sono guidate da donne, un dato che supera la media nazionale), l’occupazione femminile in Calabria continua a registrare livelli tra i più bassi d’Europa. Secondo i dati più recenti (2024-2025), solo il 33,1% delle donne tra i 15 e i 64 anni ha un lavoro: due donne su tre restano fuori dal mercato del lavoro. Il gender gap persiste. Le donne non solo trovano meno opportunità rispetto agli uomini, ma quando lavorano, spesso lo fanno in condizioni più svantaggiate: contratti precari, scarse possibilità di carriera e retribuzioni inferiori. Nel settore privato il divario salariale è evidente: le lavoratrici guadagnano in media oltre 100 euro in meno a settimana rispetto ai colleghi maschi. La disoccupazione complessiva regionale, al 14,6%, colpisce in modo particolare le donne, soprattutto nella fascia 30-49 anni, quella in cui la conciliazione tra lavoro e vita familiare diventa più complessa.

Al contempo, questo contrasto tra una presenza imprenditoriale femminile vivace e un’occupazione generale che fatica a decollare fa riflettere. Le donne calabresi oggi hanno modalità di realizzazione che cinquanta anni fa erano impensabili a causa della cultura patriarcale che vigeva; guidano aziende, innovano, occupano ruoli di spicco. Ma rimane una disuguaglianza strutturale: non tutte le donne hanno ancora accesso alle stesse opportunità, e il lavoro, soprattutto quello stabile, non è garantito allo stesso modo per tutte.

Sicuramente oggi le donne calabresi hanno ambizioni maggiori e diverse da quelle che formavano la Calabria che abbiamo attraversato questa estate. Alla luce di quanto raccolto, emerge che l’emancipazione non è un traguardo acquisito una volta per sempre, ma un processo continuo. Alcune figure nominate sopra sono un faro di ispirazione, ma servono politiche più incisive e un impegno culturale costante per fare in modo che sempre più donne abbiano la libertà - non solo di sognare, ma di costruire - il proprio futuro in Calabria, nelle loro radici e anche oltre.