Addio a “padre” e “madre”: sulla carta d’identità sarà “genitore”
La Cassazione boccia il decreto del Viminale del 2019 e apre alla possibilità per i figli di coppie omogenitoriali di essere riconosciuti nei documenti. Con la sentenza 9216/2025, la Suprema Corte afferma che è discriminatorio impedire al minore di avere un documento che rifletta la reale composizione familiare
"Genitore", e non più “padre” e “madre”. Una parola che, dietro la sua apparente neutralità, contiene una rivoluzione giuridica e culturale. Con la sentenza n. 9216 del 2025, la Corte di Cassazione ha di fatto messo la parola fine al braccio di ferro tra il Viminale e i Comuni che da anni trascrivono all’anagrafe due madri o due padri per i figli nati in famiglie omogenitoriali.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso del ministero dell’Interno, stabilendo che è legittima la disapplicazione del decreto del 2019 che imponeva,
nei documenti d’identità, l’indicazione esclusiva di "padre" e "madre".
Il caso specifico riguardava un minore figlio di una coppia femminile: una madre biologica e una madre adottiva, riconosciuta come tale da una sentenza di adozione. La Corte d’Appello aveva già sancito che,
proprio per evitare un trattamento discriminatorio e lesivo dei diritti del bambino, la dicitura “genitore” era l’unica accettabile nel rilascio della carta d’identità elettronica.
Ora la Cassazione conferma quella scelta, parlando apertamente di “effetto irragionevole e discriminatorio” nel caso in cui si negasse al minore un documento valido per l’espatrio solo a causa della composizione della sua famiglia. Una presa di posizione netta, che scardina il rigido impianto normativo del decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, fortemente voluto da ambienti politici conservatori e mai modificato fino a oggi.
Il collegio, presieduto dalla giudice Maria Acierno e composto da Laura Tricomi, Giulia Iofrida, Alessandra Dal Moro e Alberto Pazzi, ha ritenuto infondati tutti e tre i motivi di doglianza presentati dal Viminale, e ha confermato la fondatezza delle argomentazioni già accolte nei gradi precedenti.
A rafforzare la decisione, i giudici di legittimità hanno richiamato la propria precedente giurisprudenza e, in particolare, la legge 184 del 1983 che consente l’adozione in casi particolari anche all’interno di coppie omogenitoriali. E hanno fatto riferimento anche alla sentenza 79/2022 della Corte Costituzionale, che ha riconosciuto l’interesse del minore a creare legami affettivi e giuridici sia con la famiglia del genitore biologico, sia con quella del genitore adottivo, a prescindere dal sesso dei genitori stessi.
Si tratta di una pronuncia destinata a far discutere. Non solo perché entra nel cuore di una delle battaglie più accese degli ultimi anni in materia di diritti civili, ma anche perché arriva in un momento particolarmente delicato. Tra poche settimane, infatti, sarà proprio la Consulta a doversi esprimere su un altro caso spinoso: quello di una madre “intenzionale”, non biologica, che rivendica il diritto di essere riconosciuta come genitore in una coppia omosessuale.
Nel frattempo, questa sentenza stabilisce un precedente importante: il diritto del minore viene prima. Prima della burocrazia, prima dell’ideologia, prima del linguaggio amministrativo. E se la famiglia cambia, anche le carte devono adeguarsi.