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26/06/2025 ore 13.24
Attualità

Reggio, la figlia del generale Cosimo Giuseppe Fazio: «Mai invitata alle iniziative dedicate a mio padre»

Dopo anni di assenza pubblica, Alessandra rompe il silenzio sui social ricordando il papà, morto nel 2013 mentre coordinava le operazioni di sbarco di un gruppo di migranti, e parlando dei rapporti difficili con la famiglia

di Elisa Barresi

Dopo anni di assenza pubblica, Alessandra Fazio, figlia del compianto Colonnello (oggi Generale di Brigata) Cosimo Giuseppe Fazio, morto a Reggio Calabria il 15 agosto 2013, ha scelto di parlare, e lo ha fatto affidando ai social parole che raccontano un dolore profondo, fatto di giustizia, di memoria tradita e di una verità che per troppo tempo è rimasta taciuta. Perché ci sono silenzi che non proteggono più, ma diventano catene. E allora, anche la voce più ferita trova il coraggio di spezzarle.

«Dopo circa otto anni di silenzio – scrive Alessandra – mi sono trovata costretta ad avviare un percorso giudiziario nei riguardi di mia madre». Un percorso doloroso, che ha portato a due sentenze – in primo grado e in appello – per atti persecutori ai sensi dell’articolo 612 bis del codice penale, con Alessandra parte offesa. «Ovviamente le sentenze non sono ancora passate in giudicato», chiarisce lei stessa, ma il peso di quegli anni e il bisogno di riaffermare la propria identità l’hanno spinta a raccontare.

Parole forti, misurate, che fanno emergere l’altra faccia di una storia familiare segnata dal lutto e da fratture insanabili. In questi anni, racconta Alessandra, «ho visto ho immagini di manifestazioni e premi dedicati a mio padre, senza che la mia persona venisse mai nominata e/o convocata neppure per sbaglio, con premi ed elogi rivolti anche alla donna che, ad oggi, è stata condannata per ben due gradi di giudizio (sentenza di Primo Grado e Sentenza di Appello che conferma in toto quella di primo grado), per atti persecutori nei riguardi della figlia. Avendo interrotto ogni genere di rapporto con la mia famiglia di origine ed in virtù del percorso penale in atto, ho sempre fatto finta di nulla, restando in silenzio onde evitare eventuali pregiudizi o peggioramenti della vicenda rappresentata. Ovviamente, le Sentenze emesse non sono ancora passate in giudicato, se ci sarà o meno ricorso in Cassazione e come, eventualmente, la Suprema Corte si esprimerà. Il citato percorso Giudiziario non ha raggiunto il suo termine ultimo e definitivo, ma visto il tempo trascorso e date le due sentenze di cui sopra, ritenevo opportuno, con il giusto rispetto per tutto e tutti, rendere edotto chi mi conosce e non, del perché del mio tormentato silenzio di questi anni».

Il Generale Cosimo Giuseppe Fazio è stato molto più di un alto ufficiale dell’Arma dei Carabinieri. È stato un esempio concreto di rettitudine, disciplina e profondo senso del dovere. La sua carriera, costruita con rigore e sacrificio, ha lasciato un’impronta tangibile nel territorio calabrese, dove ha prestato servizio distinguendosi per fermezza, ma anche per umanità.

Chi lo ha conosciuto ricorda la sua figura austera, lo sguardo vigile e il rispetto che sapeva guadagnarsi con il comportamento, prima ancora che con i gradi appuntati sulla divisa. Era uno di quegli uomini per cui la divisa non era un simbolo, ma una scelta di vita. Il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata e nella tutela dei cittadini più fragili è stato guidato da un profondo senso di giustizia. In lui convivevano la durezza del comandante e la sensibilità dell’uomo, capace di ascoltare e intervenire con equilibrio anche nelle situazioni più complesse. La sua scomparsa, avvenuta il 15 agosto 2013, ha lasciato un vuoto profondo tra i colleghi, nelle istituzioni e tra chi ha avuto il privilegio di lavorare al suo fianco.

Per la figlia Alessandra, non si tratta solo di un dolore privato. La sua è una denuncia pubblica, rispettosa ma ferma, che richiama l’attenzione sul valore della verità, della giustizia e della dignità personale. E conclude con una consapevolezza che suona come una liberazione: «Adesso che il mio silenzio è finito, la mia immagine tornerà a presenziare lì dove merita». Un atto di coraggio che mostra come anche il dolore, se accolto con verità, può trasformarsi in voce.