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13/12/2025 ore 17.21
Attualità

Cucina italiana patrimonio Unesco, Branda: «Anche la Calabria parte di questo grande tesoro da trasmettere ai giovani»

Il coordinatore calabrese dell’Accademia italiana della Cucina, celebra il riconoscimento storico ed evidenzia l’importanza di preservare saperi, rituali e identità locali: «Per noi il cibo e la tavola sono parte di un sistema culturale e antropologico»

di Francesco Perri

Un riconoscimento storico: la Cucina italiana patrimonio Unesco. E con un valore particolare, considerato che per la prima volta non si celebra un singolo piatto o una tradizione regionale. Ma è tutto l’insieme della nostra cucina, di un sistema nazionale unico al mondo. Parliamo di un patrimonio di saperi, pratiche e ritualità che uniscono territori, storie, tradizioni e generazioni. Un risultato frutto del dossier presentato dall’Accademia Italiana della Cucina, dalla Fondazione Casa Artusi e dalla rivista La Cucina Italiana, poi sostenuto dal Governo.

Per Rosario Branda, coordinatore per la Calabria, delegato di Cosenza e consultore nazionale dell’Accademia Italiana della Cucina, questo successo non era affatto scontato.

Delegato Branda, cosa rappresenta questo riconoscimento Unesco?

È la prima volta che l’intera tradizione gastronomica di un Paese viene iscritta nella cosiddetta “Lista Rappresentativa”, confermando il ruolo della cucina italiana come espressione di cultura, convivialità e sostenibilità. Il riconoscimento dell’Unescostabilisce in maniera autorevole che si tratta solo di un insieme di ricette, ma di un vero e proprio sistema di valori, pratiche, identità collettiva. Non a caso, la candidatura è stata presentata con il titolo “La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale”, sottolineando il legame tra usanze culinarie, biodiversità e rispetto dei territori.

Molti parlano di “cucina vivente”: quali sono, secondo lei, le pratiche, i gesti quotidiani che meglio raccontano questa vitalità nella tradizione gastronomica italiana? E di quella calabrese?

La cucina italiana comprende conoscenze, rituali e gesti che hanno dato vita a un uso creativo e artigianale delle materie prime disponibili, il più delle volte diverse da territorio a territorio, contribuendo a creare così un’identità socio-culturale condivisa e allo stesso tempo cronologicamente e geograficamente variegata. È viva perché ad essere premiati non sono i piatti in sé, ancorché codificati in ricette, ma il modo di cucinare, di stare a tavola, di condividere il cibo come momento di identità e comunità,sedimentando cultura. E la cultura, se è veramente tale, non è mai statica ma straordinariamente dinamica. La cucina calabrese è parte integrante del grande patrimonio immateriale italiano riconosciuto dall’Unesco con il suo portato distintivo di territorio, tipicità e tradizioni che viene quotidianamente reso attraverso sapori, saperi e convivialità che rendono la Calabria protagonista eccellente di un racconto universale fatto di sostenibilità e cultura.

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L’Unesco valorizza il sapere, l’insieme, più che il piatto finito. Quali conoscenze e competenze, rischiamo oggi di perdere se non vengono trasmesse?

L’Unesco ha riconosciuto la rappresentatività della cucina italiana come veicolo di cultura, certificando che si tratta di un insieme di saperi non solo culinari, ma anche conviviali e sociali che sono trasmessi di generazione in generazione su tutto il territorio nazionale. Attraverso la condivisione del cibo, la creatività gastronomica e lo stare insieme, si fa portatrice di valori di inclusività e di sostenibilità ambientale. Se questi non vengono trasmessi, rischiamo di smarrire un pezzo di identità collettiva. A titolo semplificativo e non esaustivo, vanno salvaguardate le tecniche artigianali fatte di lavorazione manuale della pasta (impasti, sfoglia, formati tipici); i metodi di conservazione tradizionali (salatura, affumicatura, sott’olio); la panificazione con lievito madre e tempi naturali di fermentazione; i saperi agricoli e della trasformazione fatti di coltivazione di varietà locali di grano, ortaggi e vitigni; pratiche di raccolta stagionale e rispetto della biodiversità; trasformazioni come la caseificazione artigianale o la produzione di olio con frantoi tradizionali. Nella stessa misura, occorre salvaguardare i rituali conviviali, attribuendo valore alla tavola come spazio di comunità e dialogo così come alle feste e ai momenti collettivi legati al cibo (vendemmia, sagre, pranzi domenicali) e alla trasmissione anche orale delle ricette e dei segreti familiari. Un discorso a parte merita un’educazione sensoriale fatta di capacità di riconoscere qualità organolettiche (profumi, consistenze, sapori) e di sapere minimo per un corretto abbinamento tra cibo e vino.

In Calabria, la cucina è spesso intrecciata a identità, famiglia, religiosità e comunità rurali. Quali aspetti culturali o antropologici ritiene più importanti da preservare?

Per noi calabresi la cucina è molto più di semplice nutrimento, è un sistema culturale e antropologico che intreccia memoria, identità e spiritualità. Preservare questi aspetti significa difendere la ricchezza di un patrimonio che rischia di disperdersi con l’omologazione globale. La dimensione familiare, per esempio, fatta di trasmissione orale delle ricette e dei segreti culinari da nonni e genitori a nipoti e figli, piuttosto che il valore del pranzo domenicale e delle feste come momento di coesione familiare ed ancora, la cucina come spazio educativo e affettivo, dove si impara a fare comunità in uno con il senso profondo della solidarietà. Aggiungerei il linguaggio fatto dei nomi dialettali dei piatti e degli ingredienti, che custodiscono memoria linguistica accompagnati da racconti coinvolgenti, proverbi e storie legate al cibo che tendono a rafforzare l’identità locale. Ma soprattutto la salvaguardia del tempo della convivialità, dove la tavola diventa spazio di inclusione e dialogo, momento per dare valore all’ospitalità calabrese, dove il cibo diventa simbolo di accoglienza e la cucina assurge a strumento di diplomazia e di apertura verso gli altri.

Oggi assistiamo a un forte rischio di omologazione globale. In che modo le tradizioni locali possono convivere con le nuove tendenze gastronomiche senza snaturarsi?

Le tradizioni locali possono e debbono convivere con le nuove tendenze gastronomiche ma occorre che vengano reinterpretate con rispetto, valorizzando l’identità dei territori e integrando l’innovazione come arricchimento, non come sostituzione. La cucina è l’arte dell’armonia. La pratica corretta è custodire memoria e saperi aprendosi con equilibrio a contaminazioni in grado di rafforzare la cultura gastronomica senza appiattirla rendendola uniforme. In questa ottica, la convivenza tra tradizione e innovazione non è un compromesso, ma una vera e propria sinergia. La tradizione fornisce radici e autenticità, l’innovazione rende disponibili strumenti e linguaggi nuovi. Vista dall’angolo visuale della Calabria, questa pratica potrebbe contribuire in misura determinante al processo in atto teso a trasformare i prodotti tipici in ambasciatori globali, mantenendone l’anima.

C’è un prodotto o una preparazione calabrese che, più di altre, incarna secondo lei lo spirito del patrimonio vivente riconosciuto dall’Unesco?

Non credo esista un singolo piatto in grado di identificare laCalabria. In sintonia con le motivazioni dell’Unesco mi piace pensare, in maniera simbolica, alla preparazione del pane tradizionale e a quelle legate alle comunità rurali come i salumi o i formaggi che incarnano perfettamente lo spirito del patrimonio immateriale Unesco, perché uniscono gesti antichi, ritualità familiare e identità collettiva. Il pane calabrese e i salumi tradizionali come la soppressata o la nduja portano a sintesimemoria, ritualità e comunità. Non sono semplici prodotti, ma narrazioni viventi capaci di unire famiglia, religione e territorio.

I giovani mostrano un interesse crescente per le radici culinarie, ma spesso mancano percorsi strutturati. Cosa potrebbe fare la Calabria per favorire la trasmissione dei saperi alle nuove generazioni?

Un progetto di trasmissione culturale permanente, con azioni concrete in grado di unire educazione, comunità e innovazione, potrebbe costituire un’ottima opportunità per mettere a fruttol’interesse dei giovani verso le radici culinarie evitando il rischio che possa restare un fenomeno passeggero. Si potrebbe pensare alla promozione dei saperi gastronomici locali con moduli di cultura gastronomica e antropologia del cibo nei programmi scolastici e a collaborazioni strutturate con istituti alberghieri e facoltà di agraria per progetti sul territorio con la creazione di orti didattici. Con l’utilizzo delle nuove tecnologie potrebbero essere implementate delle piattaforme online con video, podcast e archivi digitali di ricette e rituali in uno con la possibilità di certificazioni digitali per tracciare l’origine dei prodotti tipici. In estrema sintesi, la Calabria può candidarsi a diventare un laboratorio di trasmissione culturale, dove i giovani non solo imparano a cucinare, ma a vivere la cucina come identità, comunità e sostenibilità. Come sempre, la chiave del successo, sarà riuscire aintegrare tradizione e innovazione, creando percorsi che siano al tempo stesso radicati e attrattivi.

L’Accademia Italiana della Cucina svolge un ruolo fondamentale nella tutela del patrimonio gastronomico. Quali sono le iniziative che la sezione calabrese sta portando avanti?

Fondata nel 1953 da Orio Vergani, l’Accademia Italiana della Cucina, presieduta da Paolo Petroni, dal 2003 è Istituzione Culturale della Repubblica Italiana con l’obiettivo di tutelare le tradizioni della cucina italiana nel mondo. Attraverso l’attività del Centro Studi e delle Delegazioni in Italia e all’estero, l’Accademia opera affinché siano promosse iniziative idonee a diffondere una migliore conoscenza dei valori tradizionali della cucina italiana, che costituiscono la base per ogni concreta innovazione. La cucina è una delle espressioni più profonde della cultura di un Paese al punto da diventare linguaggio universale. Racconta chi siamo, da dove veniamo, e come vogliamo costruire il futuro. In Calabria, questo patrimonio si esprime nei sapori autentici del suino nero, nei salumi, nei vini che nascono da colline generose, nell’olio che profuma di tradizione e di paesaggio, in una qualità gastronomica capace di incarnare memoria, identità e sostenibilità.Come delegazioni calabresi, in perfetta sintonia con lo spirito istitutivo dell’Accademia Italiana della Cucina, siamo impegnati a valorizzare la cucina del nostro territorio intesa come motore di promozione culturale e stimolo per la salvaguardia delle conoscenze tradizionali e la loro trasmissione alle nuove generazioni. Da sei anni siamo tra i protagonisti della ‘Settimana della Cucina Italiana nel Mondo’ promossa dal Ministero degli Esteri con l'obiettivo di presentare la cucina del nostro territorio dando evidenza alle radici culturali e al ruolo riconosciuto in maniera diffusa alla Dieta Mediterranea anche rispetto alla tutela della salute, nel quadro di uno stile di vita sano, equilibrato e sostenibile. Nell’occasione provvediamo a consegnare i premi che l’Accademia riconosce a ristoratori, produttori, punti vendita, scrittori e giornalisti che abbiano contribuito in maniera significativa alla conoscenza e alla valorizzazione della buona tavola tradizionale.

Quali progetti immagina per il futuro post-Unesco?

Il post-Unesco ci stimola ad incrementare il nostro impegnoper valorizzare i produttori locali, sostenere i ristoratori, educare i giovani al rispetto delle tradizioni e al tempo stesso aprirci al mondo con orgoglio guardando avanti per concorrere nel contribuire a rendere la nostra identità gastronomica un motore di sviluppo, turismo e innovazione. Ad inizio del prossimo anno l’Accademia darà vita ad una iniziativa straordinaria che vedrà impegnate nello stesso giorno tutte le Delegazioni in Italia e all’estero per dare il giusto rilievo a questo straordinario riconoscimento. Come delegazioni calabresi stiamo progettando un evento con il coinvolgimento delle istituzioni da sempre vicine ed attente alle nostre iniziative.