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13/04/2025 ore 07.34
Attualità

Da Vibo alla Costa degli dei tra buche, degrado e paesaggi mozzafiato: viaggio su provinciali da incubo in una terra da sogno

La Sp 17 e la Sp 22 collegano il capoluogo a due delle località più rinomate della Calabria: Tropea e Capo Vaticano, simboli del turismo regionale. Ma le condizioni in cui versano fanno pensare a un paese in guerra

di Alessandro Stella

I giapponesi lo chiamano Kintsugi: è l’antica pratica di riparazione degli oggetti in ceramica che ne mette in evidenza le crepe tramite polvere d’oro. Uno stratagemma che può assurgere a filosofia di vita: la fragilità che diventa forza, le difficoltà che si trasformano in opportunità.

Ma alle nostre latitudini non abbiamo queste pretese, voliamo bassi, sfioriamo l’asfalto, quasi a toccare le centinaia di buche che affollano le strade. Epperò non le riempiamo di metallo prezioso. No. E neppure di bitume. Le lasciamo in bella vista a riscaldarsi con il tiepido sole primaverile. Poi con quello estivo, autunnale e invernale, per riprendere il ciclo delle stagioni e della vita. Al massimo qualche rattoppo per sentirci anche noi un po’ zen, in attesa del prossimo Giro d’Italia o della visita del Presidente di turno.

Questa lunga introduzione semplicemente per illustrare la deprimente condizione delle strade provinciali del Vibonese, due in particolare: la Sp 17 – che collega Vibo Valentia a Tropea – e la Sp 22 – che da Tropea tocca Ricadi e arriva alla rotatoria per Zungri e Spilinga.

Arterie di fondamentale importanza per lo sviluppo del territorio e che ogni anno ospitano centinaia di migliaia di visitatori, costretti a percorrerle increduli e anche un po’ schifati. Senza contare i residenti, per i quali sembra valere il pericoloso assunto esopiano secondo cui «l'assuefazione mitiga anche le cose spaventevoli».

Inizia il viaggio

Il nostro viaggio inizia al bivio che dalla Statale 18 immette sulla Sp 17: da qui partono poco più di venti chilometri che portano a Tropea. Un cammino che si snoda tutto sommato senza scossoni fino all’altipiano del Poro, dove una lunga striscia di asfalto taglia in due un paesaggio suggestivo.

Quello che subito colpisce è il gran numero di edicole dedicate alle vittime succedutesi su questa arteria nel corso dei decenni: ne contiamo almeno sette. Molte altre non hanno memoria a bordo strada, soltanto nei cuori di chi le ha perse.

E la struttura del tracciato spiega i motivi di questo stillicidio: il lungo rettilineo porta a raggiungere velocità ben oltre i limiti, i sorpassi sono continui, la segnaletica orizzontale è ormai sbiadita o assente, particolare di fondamentale importanza per contrastare i banchi di nebbia spesso presenti in zona.

Lo spartiacque

Tra gli interventi istituzionali più recenti la rotatoria al bivio per Zungri e Spilinga, realizzata nel 2023 e subito attenzionata dal compianto Nino Valeri, presidente dell’associazione “Paola e Dario” e referente provinciale per l’Associazione italiana familiari e vittime della strada, che ne denunciò la pericolosità per via dell’altezza.

Un manufatto che, senza dubbio, contribuisce a portare sicurezza su una diramazione in passato teatro di numerosi incidenti, ma che rappresenta uno spartiacque: da un lato il mondo civilizzato, dall’altro una zona di guerra.

Proseguendo verso Tropea, infatti, la carreggiata si restringe, le buche e i tratti ammalorati non si contano. E così per diversi chilometri, tanto da spingere recentemente l’amministrazione provinciale a targa L’Andolina a stanziare circa due milioni e mezzo di euro per la messa in sicurezza dell’arteria, anche alla luce delle ripetute sollecitazioni del sindaco di Drapia, Porcelli.

La variante della vergogna

Qualche centinaio di metri più avanti troviamo il cantiere della variante di Caria, una bretella ribattezzata “variante della vergogna”. Il motivo è presto detto: questo budello di circa tre chilometri è costato più di dieci milioni di euro, ha squarciato un territorio di grande importanza dal punto di vista archeologico e ambientale, e oggi, finalmente, a 17 anni dall’avvio dei lavori, potrebbe essere completato. Il tutto per bypassare la piccola frazione di Drapia e risparmiare meno di cinque minuti.

Da qui il cammino verso la Perla del Tirreno prosegue tra avvallamenti, frane, e cedimenti che fanno tutt’uno con l’incanto dello Stromboli all’orizzonte, oltre a fare la fortuna di gommisti e meccanici. Immancabili le gigantesche piante di aneto a bordo strada, mute custodi del degrado, tranciate dai mezzi di pulizia una volta all’anno (se va bene).

Cambia la strada ma non la musica

Dopo aver goduto delle bellezze naturali e architettoniche di Tropea, attraverso la Sp 22 proseguiamo per Capo Vaticano, nel territorio di Ricadi, il comune con il maggior numero di posti letto in Calabria: con la città d’Ercole si supera abbondantemente il milione di presenze annue. Visitatori costretti a percorre anche qui strade che sembrano bombardate, prive di guardrail, disseminate di buche, con frane a bordo strada e un asfalto che non conosce manutenzione da anni.

Un panorama ineguagliabile che abbraccia l’Etna e lo Stromboli ci accompagna sulla via del ritorno a Vibo Valentia, ma la musica non cambia.

Fra i tratti peggiori quello che dalla frazione San Nicolò porta a Ricadi paese. Nei pressi dell’Istituto comprensivo uno scenario che instilla nei calabresi l’assuefazione all’incuria sin dalla tenera età. E anche dove sono stati effettuati interventi recenti, questi lasciano a desiderare: la nuova bitumazione ha aumentato il dislivello creato dai tombini, costringendo gli automobilisti a procedere a zig zag.

E mentre ci dirigiamo verso Spilinga per godere di una fetta di pane e ‘nduja, rischiamo di finire dentro un paio di veri e propri crateri aperti da anni all’altezza della frazione Panaja.

Un territorio dimenticato

Rientriamo a Vibo Valentia fortunatamente senza altri sussulti. Abbiamo percorso in totale quasi cinquanta chilometri con l’effettiva sensazione di trovarci in quella che le statistiche dipingono come una delle regioni più depresse d’Europa: un biglietto da visita imbarazzante per chi si riempie la bocca di parole come “turismo”, “accoglienza” e “volano per la Calabria”.

Anche perché, una manciata di chilometri più a Sud, per “soli” 13,5 miliardi di euro, dovrebbe sorgere il Ponte sullo Stretto. Quello che porterebbe «giovamento e sviluppo a tutta la Calabria, al Mezzogiorno, all’Italia».

Eppure, con solo l’un percento di quella cifra (135 milioni) si rimetterebbe in sesto buona parte delle mulattiere che vengono spacciate per strade. Oltre a restituire un minimo di dignità a chi, percorrendole ogni giorno, ha ancora fiducia in questa terra.