Dalle processioni scenografiche ai riti crudi e antichi: la Settimana Santa tra Campania e Calabria
Questi giorni raccontano un Sud che non dimentica, che soffre, che spera. Due terre diverse, unite dalla Madonna dell’Addolorata, verso la luce della Pasqua
La Settimana Santa, nel Sud, è un pugno nello stomaco. Non una data sul calendario, ma un colpo che ti prende e non ti lascia. In Campania e Calabria, terre che si specchiano nello stesso mare, il Venerdì Santo è un urlo. Diverso nel suono, uguale nel sangue. Qui, la Passione di Cristo non si racconta. Si vive. Si porta a spalla. Si sanguina. È carne che trema e cielo che sta zitto, un rito che ti strappa dalla vita di tutti i giorni e ti inchioda alla croce. Su LaCNews, entriamo nel cuore di questi giorni, tra processioni che sembrano guerre e penitenza che sa di antico.
Il Giovedì Santo: il silenzio che carica la scena
Le campane smettono di suonare, e tutto cambia. In Campania, a Sorrento, il Giovedì Santo è un sipario che si apre piano. I “sepolcri” brillano nelle chiese – come quella di San Francesco –, altari bianchi di fiori e germogli di grano cresciuti al buio, a dire che la morte è un passo verso la luce. La gente passa, si segna, bisbiglia. A Vico Equense, davanti alla Chiesa della Santissima Annunziata, le “trocchie” grattano l’aria, legni che annunciano il lutto. È un’attesa che ti schiaccia, un silenzio che pesa come pietra.
In Calabria, il Giovedì è già un taglio. A Verbicaro, la notte si accende di colpi. I “Battenti” – contadini, operai, gente comune – escono con catene e vetri. Si percuotono le gambe davanti alle chiese, il sangue scorre sulle pietre, e la Madonna Addolorata li guarda da lontano, portata a spalla. È un rito medievale, un voto per una grazia chiesta o ricevuta. A Catanzaro, i sepolcri sono più spogli, ma le “Lamentazioni” ti afferrano: voci rotte, di donne e vecchi, che sembrano salire dalla terra.
Due regioni, due modi di prepararsi al Venerdì. La Campania lo veste di bellezza. La Calabria lo spoglia fino al midollo.
Venerdì Santo in Campania: il teatro della croce
Il Venerdì arriva, e la Campania diventa un palcoscenico. A Sorrento, la notte si spacca in due. La Processione Bianca parte dalla Chiesa dell’Annunziata, quella Nera dalla Cattedrale. Incappucciati, bianchi come fantasmi, neri come la notte. Torce in mano, croci sulle spalle, statue dietro. Le marce funebri della banda – lente, gravi – rimbombano tra i muri di tufo. La Madonna Addolorata chiude il corteo, sette spade nel cuore, il volto di legno che piange lacrime vere. La vedi passare nei vicoli della città vecchia, e ti resta dentro.
A Procida, il Venerdì è un’alba che brucia. La Processione dei Misteri inizia con la luce che spacca il mare. Carri di legno e tela – il Cristo flagellato, la Veronica, l’Ecce Homo – costruiti dai ragazzi dell’isola. Incappucciati in tuniche bianche e turchesi, scalzi, salgono verso Terra Murata.
Nel pomeriggio, il Cristo Morto e l’Addolorata attraversano il porto, coi pescatori che chinano la testa. È roba del Seicento, fede e arte che fanno di Procida un quadro vivo.
A Vico Equense, i “Flagellanti” della Confraternita del Santissimo Sacramento si battono il petto davanti alla croce. Niente sangue, solo un gesto, un’ombra di penitenza. Qui, il Venerdì è uno spettacolo: i “Miserere” cantati nella notte, le candele che tagliano il buio. La Campania non copre il dolore: lo suona, lo illumina, lo mette in scena.

Venerdì Santo in Calabria: il sangue che grida
In Calabria, il Venerdì non parla. Urla. A Nocera Terinese, i “Vattienti” sono il cuore del giorno. All’alba, escono con il “cardo” – sughero e vetri taglienti – e un panno rosso in vita. Si colpiscono le gambe fino al sangue, poi vanno verso la Chiesa di San Giovanni Battista. Le strade si tingono di rosso, i tamburi battono piano, i fedeli stanno zitti. È un rito del Trecento, un’offerta alla Madonna Addolorata, un modo per toccare la croce con le mani. Ti scuote, ma chi lo fa dice che è un fuoco che scalda l’anima.
A Cassano allo Ionio, il Venerdì è una salita. La Via Crucis parte dal paese e arriva al “Calvario”, una collina nuda. Il Cristo Morto lo portano uomini scalzi, piedi sporchi di terra. Niente carri, niente musica: solo passi e il pianto delle donne in nero. La Madonna Addolorata segue, il velo che sbatte al vento dell’Aspromonte.

È una Calabria cruda, che non cerca applausi ma verità.
A Tropea, il Venerdì è più morbido, ma ti prende lo stesso. La processione del Cristo Morto passa tra i palazzi sul mare, e lo “Stabat Mater” si mischia alle onde. Il dolore è un respiro trattenuto, pesante come un macigno. La Calabria non lo rappresenta: lo vive, lo offre, lo paga col sangue.
L’Addolorata: il filo che tiene tutto
C’è una figura che unisce Campania e Calabria, una donna che cammina dietro la croce: la Madonna Addolorata. A Napoli, nei Quartieri Spagnoli, è “Mamma ‘e l’Addolorata”. La portano in giro il Venerdì Santo, tra lumini e balconi pieni. A Vibo Valentia, è la “Matri Addulurata”, che segue il Figlio morto fino alla Cattedrale. Sette spade nel cuore, sempre sette, come un dolore che non finisce.

Le donne dei paesi, in nero, sono con lei. Cantano, pregano, tengono ceri. A Sorrento, il suo passaggio rompe la notte con un lamento che ti spacca. A Mammola, le “Lamentazioni” sono un grido strozzato, voci di vecchie che tagliano l’aria. È la madre di tutti, il ponte tra due terre che parlano lingue diverse ma piangono uguale.
Verso la Pasqua: l’incontro che rompe il buio
Il Venerdì è un tunnel, ma c’è una luce. In Campania, a Torre Annunziata, il Sabato Santo è la “Corsa della Madonna”. La statua dell’Addolorata corre verso il Cristo Risorto, il velo nero cade, e la piazza esplode. È gioia, un urlo che manda in pezzi il lutto. A Procida, le campane tornano, e il mare riflette il sole di Pasqua.

In Calabria, c’è l’“Affruntata”. A Bagnara Calabra, il 20 aprile 2025, tre statue – Cristo Risorto, la Madonna, San Giovanni – si incontrano in piazza. San Giovanni corre avanti e indietro, la Madonna si inchina, il velo vola via tra le grida. Le campane suonano forte, i tamburi si fermano, il sangue del Venerdì svanisce.
A Sant’Onofrio, è più piccolo: le statue si abbracciano davanti alla chiesa, e i bambini buttano fiori. Due terre, due modi di dirlo: la morte perde. La Campania lo fa con la luce, la Calabria con la forza. Ma il cielo è uno solo.
Un Sud che non molla
Campania e Calabria, nel Venerdì Santo, si guardano nella croce e si capiscono. Una lo dipinge con torce e carri, l’altra lo scrive col sangue e il silenzio. Ma non c’è distanza. È un Sud che tiene strette le sue radici, che porta la Passione come un peso che dà senso. Quando le campane di Pasqua squarciano il cielo, il 20 aprile 2025, queste due regioni alzeranno gli occhi allo stesso sole. E sapranno che il dramma, ancora una volta, è diventato vita.
