Di carretti, costumi da bagno improvvisati e “pignatari”: il racconto di un tempo sospeso a Squillace
Tra i paesi che brillano di storia e artigianato sulla costa ionica calabrese, il paese del Catanzarese si distingue per l’eleganza delle sue ceramiche. Qui dove l’estate è una stagione intramontabile, i ricordi vengono modellati e cotti lentamente, fino a diventare solidi, incancellabili, come i manufatti nei forni. Ed è proprio qui che continua il nostro viaggio nella memoria
Enzo, Nando, Antonio ed Edoardo sono seduti su un muretto all’ombra, per contrastare il caldo di mezzogiorno. Mi avvicino commentando il buon odore proveniente dalla cucina di qualche signora lungo il Viale Fuori le Porte. Il pranzo deve essere buono perché è domenica. O semplicemente perché siamo in Calabria, e ogni giorno è domenica per le signore di una certa età.
Fermata “Memorie di Catechismo”
«A livello religioso, il patrono Sant’Agazio si festeggiava a maggio, come oggi. A luglio, invece, c’era la grande festa della Madonna del Carmine. E poi le gare catechistiche: nei paesi vicini si faceva il Catechismo durante l’anno e in estate ci si riuniva nella Cattedrale per una specie di esame di Stato; cinque giovani per paese rispondevano a interrogazioni, con tanto di voti. Il paese vincitore riceveva il gagliardetto diocesano, ovvero un piccolo stendardo da esporre nella chiesa matrice, da portare in processione, da tenere come ricordo della vittoria».
“A ‘ntinna” e “u zurru”, in Calabria l’estate d’un tempo è tutta da assaporare: «Non avevamo le app, ma giocavamo lo stesso»Fermata “Memorie di spiaggia”
«Andavamo a piedi al mare, a Squillace Lido, e poi risalivamo in paese. Chi poteva, costruiva delle tende: le canne facevano da struttura, le coperte da tetto. Chi aveva la tenda si fermava anche per mesi, almeno tra i giovani. I più grandi tornavano al paese per andare in campagna. Era un’avventura che i nostri genitori ci permettevano di fare al posto di portarci a lavorare con loro.
Verso gli anni ’60 prendevamo anche Nicoletti. Quel pullman era per noi il simbolo dell’estate, come la Vespa per gli anni ’50 nell’immaginario comune. Ci lasciava al semaforo, e poi a piedi fino alla spiaggia, che allora era tutta ulivi e agrumi. Noi ragazzini ci prendevamo il pranzo direttamente dagli alberi. Quando c’erano i genitori, si cucinava sulla spiaggia: le pietre come base per il fuoco, il vino e i cocomeri sotto la sabbia per tenerli freschi. Il cibo era pieno di sabbia perché il vento non dava tregua, ma lo mangiavamo lo stesso. E anche tanto. Però, per ignoranza, molti si tuffavano subito dopo aver mangiato, e succedevano tragedie. C’era chi moriva.
Non c’erano i costumi da bagno di oggi. Le signore indossavano una lunga tunica bianca che con l’acqua diventava aderente, mettendo in evidenza ogni particolare del corpo femminile. Noi aspettavamo che uscissero dall’acqua per goderci lo spettacolo».
Fermata “Memorie di giochi e fiere”
«Quando non si riusciva ad andare al mare, si giocava per le vie del paese. Il gioco del cerchio era tra i preferiti: si prendeva un ferro di botte (o una ruota di bicicletta), e lo si faceva ruotare in verticale aiutandosi con una bacchetta. Vinceva chi la faceva rotolare più a lungo, o magari chi arrivava primo in gara. Oppure costruivamo il carretto: una tavola, due legni a mo’ di manubrio, le rotelle di legno fatte con i cuscinetti delle biciclette o delle auto. E giù per le discese. Non c’era asfalto, solo pietre. Ci si poteva far male, ma era troppo divertente!
Una bella iniziativa di paese era la “Fiera di Mezzagosto”, che attirava anche gente dai paesi vicini, venditori e acquirenti. Si vendeva di tutto: tessuti, cibo, bestiame. I “pignatari” [i vasai] realizzavano i vasi davanti a tutti, usando l’argilla raccolta in via Maricello, dove oggi c’è la caserma dei Carabinieri. Per loro il mare arrivava solo a fine agosto, dopo mesi di lavoro».
Nel borgo del tempo perduto ricordando un'estate di pane e stornelli: «Il mare? Si andava a piedi, solo per portare le pecore»E così, tra sabbia sul cibo e fuochi accesi tra le pietre, tra vasi in argilla e carretti traballanti, Squillace continua a raccontare la sua estate di sempre. Un’estate fatta di voci e sudore, di giorni lenti e pieni, di mani che impastano, costruiscono, giocano. E ogni volta che il sole picchia forte e il mare chiama dal basso, quei ricordi riaffiorano leggeri, come le onde sui piedi nudi.