Even, in uscita il primo film di Giulio Ancora ispirato alla tragica morte di Roberta Lanzino: «Ferita ancora aperta da raccontare»
Verrà presentato il 20 novembre con il cast a Cosenza, poi le proiezioni in sala in occasione alla Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne. Il regista: «Ho voluto interrogare il pubblico su ciò che accade quando una comunità non riesce a fare i conti con la propria storia»
“Even”, opera prima di Giulio Ancora, sarà presentato con il cast in sala giovedì 20 novembre a Cosenza (Cinema Citrigno alle 20.00), sarà in concorso al Riff e presentato sabato 22 alle 20.15 al Nuovo Cinema Aquila. Le proiezioni in sala dal 24 al 27 novembre in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il film è ispirato alla tragica vicenda di Roberta Lanzino. Ne abbiamo parlato con il regista.
Cosa l’ha spinta a produrre un film ispirato alla vicenda di Roberta Lanzino?
«La storia di Roberta Lanzino mi accompagna da molti anni. Non cercavo di raccontarla direttamente, ma di confrontarmi con ciò che rappresenta: un trauma collettivo, un silenzio che pesa ancora oggi, una ferita che il tempo non ha mai davvero chiuso. L’idea di Even nasce dal bisogno di esplorare quel silenzio, non per colmare i vuoti della verità giudiziaria — che non spetta al cinema — ma per dare corpo alla memoria, per interrogarmi e interrogare il pubblico su ciò che accade quando una comunità non riesce a fare i conti con la propria storia».
E come ha vissuto il senso di responsabilità nel raccontare una storia così dolorosa e reale?
«Il senso di responsabilità è stato enorme, e costante. Ogni scelta — narrativa, estetica, etica — è stata valutata con attenzione. "Even" è liberamente ispirato alla vicenda di Roberta Lanzino, non vuole raccontarla in modo documentaristico, anzi. Un cold case che ancora oggi pesa per la mancanza di una vera giustizia. Da quella ferita irrisolta nasce la mia esigenza di raccontare, non tanto la cronaca, ma il silenzio che resta intorno a certe storie. Giulia, la protagonista del film, è un personaggio autonomo, ma porta dentro di sé le tracce di tutte le donne che hanno subito e continuano a subire».
Come avete trovato l’equilibrio tra esigenza cinematografica (narrazione, drammaturgia, personaggi) e il rispetto della storia reale di Roberta Lanzino, senza cadere nel sensazionalismo?
«L’equilibrio è nato da una scelta radicale: Even non mette in scena la vicenda di Roberta, ma dialoga con la sua eredità emotiva. Non ci sono ricostruzioni, non ci sono imitazioni, non ci sono dettagli morbosi. È stato un percorso lungo e profondamente personale. Le prime stesure del soggetto, che ho scritto insieme a Stella Milidoni, erano costruite su un impianto narrativo molto vicino alla storia di Roberta. Fin da subito abbiamo avvertito il peso e la responsabilità di affrontare il tema con il massimo rispetto, evitando qualunque forma di spettacolarizzazione. Probabilmente è proprio questa consapevolezza che, in modo naturale, ci ha portati ad allontanarci progressivamente dalla cronaca, lasciando entrare elementi di finzione e prendendo ispirazione anche da altri casi, come i femminicidi irrisolti di Lisa Gabriele o di Simonetta Cesaroni».
Il vostro intento?
«Era raccontare la violenza non nell’atto in sé, ma nelle sue conseguenze: il silenzio, il senso di colpa, la memoria che non si spegne. Giulia, interpretata da Federica Pagliaroli, subisce un trauma gravissimo e deve affrontare un percorso di risalita dopo un’amnesia dissociativa generata da uno shock post-traumatico. Durante questa rinascita, grazie anche alla pratica della focalizzazione interna, lei — e con lei lo spettatore — scoprirà la storia tragica di Marisol, interpretata da Martina Chiappetta. Un’anima del passato e un corpo presente si ritrovano così a condividere la stessa violenza, in un transfert che unisce due epoche lontane ma inquietantemente simili».
Che genere di film è “Even” Cosa deve aspettarsi il pubblico che verrà a vederlo?
«Even è un film che sfugge alle etichette: è un thriller psicologico, ma attraversato da un realismo emotivo che guarda al cinema di memoria più che al genere puro. Il pubblico non deve aspettarsi un racconto lineare né una ricostruzione investigativa tradizionale, ma non voglio spoilerare troppo. Even abita una zona di sospensione, dove la violenza è percepita nelle sue vibrazioni, nei dettagli, nelle assenze. In Even, il tempo è rotto, rallentato, deformato dal trauma, e regia e montaggio si assumono la responsabilità di restituire questa frattura. Chi verrà a vedere Even deve aspettarsi un viaggio emotivo più che un puzzle narrativo: un film che chiede allo spettatore di entrare in uno stato d’ascolto, come davanti a “La donna che visse due volte” di Hitchcock, dove identità, doppiezza e memoria si specchiano l’una nell’altra».