Giorgio Parisi promuove con riserva l’IA: «È molto migliorata ma non può inventare il futuro»
Il giudizio del Nobel per la Fisica tra allucinazione e meraviglia: «L’intelligenza artificiale è stata addestrata come un pappagallo stocastico, sta diventando un pappagallo che qualcosa capisce. Ma l’algoritmo non basta per immaginare il domani»
L’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante, ma non può sostituire l’immaginazione umana. A dirlo è Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica nel 2021, in una riflessione che unisce lucidità scientifica e consapevolezza filosofica. Intervistato dal Corriere della Sera, Parisi traccia una linea netta tra le straordinarie capacità delle macchine e il cuore ancora insostituibile dell’intuizione umana.
«L’IA è molto migliorata – ammette Parisi – ma non può inventare il futuro». Per lo scienziato italiano, l’intelligenza artificiale funziona come un grande motore di rielaborazione, un archivio sterminato capace di ricombinare tutto ciò che l’umanità ha scritto e prodotto finora. «È stata addestrata come un pappagallo stocastico – spiega – ma sta diventando un pappagallo che qualcosa capisce».
L’IA può affascinare e ingannare ma non sa dove sta andando
Un’immagine forte, provocatoria, ma che fotografa con efficacia la natura attuale degli algoritmi generativi: imitatori sofisticati, capaci di produrre testi, immagini, musica e persino codice, ma ancora privi di una reale comprensione del mondo e di una visione autonoma del futuro.
Parisi riconosce che anche la creatività umana è, in parte, un’opera di ricombinazione: «Mettiamo insieme tutto ciò che abbiamo letto, imparato, sentito, provato e vissuto, e da lì generiamo idee». Ma c’è un elemento che distingue l’invenzione umana da quella algoritmica: l’orientamento verso un’idea di mondo, la volontà di costruire un senso, un progetto.
«Il futuro non si crea tirando a indovinare – afferma – ma cercando di combinare l’esperienza con un’idea di mondo. Che i chatbot non hanno».
Secondo Parisi, dunque, il limite dell’intelligenza artificiale non è solo tecnico ma esistenziale: manca di contesto, di coscienza, di una collocazione in un tempo storico e in un orizzonte etico. L’IA può sorprendere, affascinare, perfino ingannare. Ma non sa dove sta andando. E soprattutto, non sa perché.
Giorgio Parisi e l’IA tra allucinazioni e meraviglia
Questa consapevolezza non è però un rifiuto della tecnologia. Parisi si muove tra ammirazione e cautela, riconoscendo i traguardi raggiunti ma anche le insidie che si nascondono dietro un uso acritico di questi strumenti. «Ci sono allucinazioni, ma anche meraviglia» dice, evocando sia gli errori che i lampi di genio delle macchine.
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale viene sempre più spesso proposta come oracolo e guida, Parisi ci invita a recuperare il senso del limite. Un limite non come barriera invalicabile, ma come punto di partenza per un uso consapevole e responsabile della tecnologia. In fondo, suggerisce il fisico, è proprio la nostra imperfezione – e la nostra capacità di dare senso a ciò che è incerto – che ci rende insostituibilmente umani.