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19/11/2025 ore 09.33
Attualità

Giustino De Vuono, l’uomo dei misteri d’Italia: il fantasma di Scigliano è morto o sopravvissuto nell'ombra?

Emerso dalle pagine più oscure degli Anni di Piombo, la sua vita si è chiusa ufficialmente nel 1993. A distanza di oltre trent'anni però i dubbi non solo persistono, ma si alimentano con nuovi indizi

di Gianfranco Donadio*

In un Paese come l'Italia, dove la storia recente è una complessità di misteri irrisolti, ombre della criminalità organizzata e segreti di Stato, non stupisce che figure come Giustino De Vuono continuino a tormentare l'immaginario collettivo. Nato nel 1940 a Scigliano, un piccolo comune calabrese, De Vuono è emerso dalle pagine più oscure degli anni di piombo: ex legionario straniero, legato alla 'ndrangheta e sospettato di coinvolgimenti in vicende clamorose come il sequestro di Aldo Moro. Ufficialmente, la sua vita si è chiusa nel 1993 – o forse nel 1994, a seconda delle fonti – per cause naturali, mentre era detenuto nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta. La salma, si dice, riposa nel cimitero di Scigliano, sotto una lapide che dovrebbe porre fine a ogni speculazione. Eppure, a distanza di oltre trent'anni, i dubbi non solo persistono, ma si alimentano con nuovi indizi, trasformando De Vuono in un "fantasma" che aleggia sui meccanismi opachi del potere e della giustizia italiana.

Il punto di svolta recente è arrivato qualche anno fa, nel 2023, quando la Commissione Parlamentare Antimafia ha sollevato un velo su questa vicenda. Durante le audizioni e le indagini sul legame tra criminalità organizzata e terrorismo, è emerso un dettaglio sconcertante: non è mai stata condotta una verifica forense sulla salma sepolta a Scigliano. Nessuna esumazione, nessun esame del Dna, nessuna indagine approfondita per confermare che quel corpo sia davvero quello di Giustino De Vuono. La Commissione ha sottolineato come questa omissione rappresenti un buco nero nelle procedure investigative, specialmente considerando il curriculum dell'uomo: arrestato in Svizzera nel 1983 sotto falsa identità, De Vuono era un maestro nello scomparire e riapparire, un'abilità affinata negli anni della Legione Straniera e nei circuiti della malavita calabrese. Come ha potuto un soggetto così controverso, accusato di rapine, legami con le Brigate Rosse e persino implicato nel giallo del rapimento Saronio, svanire nel nulla senza che lo Stato verificasse la sua fine? È una domanda che riecheggia nei corridoi del Parlamento e nei vicoli di Scigliano, dove la memoria locale mescola paura e leggenda.

E poi c'è l'episodio di quest’anno, che aggiunge un tassello inquietante a questo puzzle. Testimoni oculari hanno riportato avvistamenti di carabinieri "estranei" – non appartenenti alle forze locali – nei pressi del cimitero di Scigliano. Cosa ci facevano lì? Stavano forse conducendo indagini discrete, magari su mandato di qualche autorità superiore, per dissipare finalmente i dubbi? O, al contrario, stavano monitorando un sito che potrebbe nascondere più di quanto sembri? In un contesto di rinnovato interesse per gli anni di piombo – basti pensare al libro-inchiesta di Alberto Fittarelli pubblicato proprio quest'anno, che ripercorre la figura di De Vuono come «il più misterioso protagonista» di quel periodo – questi movimenti non possono essere liquidati come coincidenze. La Calabria, terra di 'ndrangheta e di fughe rocambolesche, offre un terreno fertile per teorie che vedono De Vuono ancora vivo, nascosto forse in Sudamerica o in qualche rifugio protetto da complici potenti.

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Ma ragioniamo con freddezza. I dubbi sulla morte di De Vuono non nascono dal nulla, ma derivano da un sistema investigativo che, troppo spesso, ha chiuso gli occhi di fronte a intrecci tra mafia, terrorismo e istituzioni. Se la Commissione Antimafia ha evidenziato l'assenza di verifiche nel 2023, perché non procedere ora? Un'esumazione, supportata da analisi scientifiche moderne, potrebbe chiudere il capitolo una volta per tutte, dissipando le voci che lo ritengono sopravvissuto – magari per testimoniare segreti inconfessabili o per godere di una pensione dorata all'estero. D'altro canto, se De Vuono è davvero morto, perché tanto riserbo? La sua scomparsa potrebbe essere stata orchestrata per proteggere informazioni sensibili sul caso Moro, dove il suo nome è spuntato più volte come possibile anello di congiunzione tra 'ndrangheta e Brigate Rosse.

In ultima analisi, il caso De Vuono non è solo una curiosità storica, ma è un monito sulla fragilità della verità in Italia. Finché non si farà luce su quella tomba a Scigliano, le speculazioni continueranno a proliferare, alimentate da un mix di negligenza istituzionale e fascino per il mistero. È tempo che le autorità intervengano, non con carabinieri anonimi nel buio di un cimitero, ma con trasparenza e rigore. Solo così potremo seppellire definitivamente non solo un uomo, ma anche i suoi enigmi. Altrimenti, il fantasma di Giustino De Vuono continuerà a vagare, ricordandoci quanto sia sottile il confine tra morte e sopravvivenza nell'ombra del potere.

*Documentarista