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01/05/2025 ore 13.57
Attualità

Hashtag vuoti, musica sempre uguale e birre tiepide: il Primo Maggio (e il suo Concertone) è diventato un pic-nic mediatico

Denaro, mercato e fantasma del debito pubblico sono diventati collanti dell'ordine sociale. La manifestazione musicale organizzata dai sindacati a Roma è l’emblema di questa deriva: nata per celebrare le lotte operaie si è trasformata in una festa pop funzionale al potere

di Francesco Viafora

Il nichilismo assoluto viene associato alla fase più estrema della modernità digitale che stiamo vivendo; esso sancisce la nascita di un momento storico in cui la società dei consumi, superato il capitalismo produttivo e democratico, si manifesta nella sua forma più spettrale di dissoluzione di ogni valore e di ogni identità culturale, in favore di un eterno presente senza storia fatto di esperienze da consumare rapidamente e da dimenticare ancora più velocemente. Quando il consumo, il denaro, il mercato ed il fantasma del debito pubblico diventano i collanti dell’ordine sociale, allora non c'è più tensione verso un "senso", né verso una trasformazione collettiva: tutto viene ridotto a superficie, ad emergenza o ad un intrattenimento fatto solo di omologazione e appagamento immediato.

In questo quadro, ogni ricorrenza diventa una esperienza senza valore e, da questa desertificazione della cultura e delle identità, non si salva niente, anzi le ricorrenze vengono snaturate e colorate nell’interesse di una parte politica o un’altra. Il concerto, anzi concertone del Primo Maggio a Roma, nome non a caso esso infatti fa rima con panettone, nato formalmente come celebrazione della giornata internazionale dei lavoratori, sembra essersi trasformato nell’emblema perfetto di questo nichilismo culturale senza Stato e senza identità.

Un evento che dovrebbe ricordare la lotta operaia, le conquiste sociali e la necessità di tenere viva una coscienza di classe, è diventato invece un gigantesco pic-nic mediatico, in cui la dimensione politica della società viene dimenticata, anzi volutamente sacrificata, in un momento in cui si appiattisce tutto in una festa indistinta, priva di contenuti realmente conflittuali e dunque funzionali al potere egemone neoliberale.

Il pubblico viene riunito dalle varie organizzazioni, non per rivendicare diritti o riflettere sulla precarizzazione crescente del lavoro, creare azioni incisive contro i salari da fame, ma per "vivere un'esperienza" sponsorizzata dagli stessi produttori e brand di Sanremo, trasmessa in diretta, consumata sui social, una esperienza brandizzata da quel consumismo digitale che proprio dallo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto più giovani, trae la sua sussistenza.

Le parole d'ordine della protesta, la coscienza di essere gli ultimi anelli di un sistema ingiusto, hanno lentamente lasciato spazio agli slogan vuoti del neo liberismo fucsia, ai selfie con la folla sullo sfondo, a un'illusione di partecipazione che non mette mai in discussione le strutture profonde di sfruttamento, anzi le alimenta attraverso l’adesione incondizionata ai valori egemoni, mascherati da connotati “smart”.

Il Primo Maggio, storicamente nato come giorno di lotta e memoria di martiri sindacali come quelli di Haymarket, viene così neutralizzato nella sua forza originaria: la tensione rivoluzionaria che ha reso possibile la conquista dei dritti la loro affermazione, viene così’ anestetizzata da un intrattenimento festoso, in cui la musica, potenzialmente strumento di risveglio e denuncia, si riduce spesso a puro sottofondo e megafono del potere. In ogni città, in ogni parco eventi simili si sono moltiplicati per il piacere di generazioni senza passato e senza futuro.

Dalla Piazza di Roma, le band, gli artisti sono sempre uguali, si alternano in una passerella inquietante in cui il pubblico, soprattutto più giovane, viene costantemente sottomesso e mortificato da musiche tutte uguali e senza connotati innovativi. Come nei processi descritti da Debord nella Società dello spettacolo, anche qui il reale viene sostituito dal suo simulacro: non c'è più la lotta, ma la rappresentazione innocua di un "evento" per il consumo di massa. Ma l’aspetto più ironico di questa passerella ormai senza senso consiste nella sua connotazione residualmente intellettuale, figlia di una sottocultura piatta che dei libri ha letto spesso solo l’introduzione, non capendola neanche.

Ad amplificare questa dinamica di svuotamento, troviamo infatti le figure dei difensori del potere della cancel culture, come Lorenzo Tosa, che seguono l'evento dai social, contribuendo a colorarlo di una banalità compiaciuta, priva di qualsiasi consapevolezza critica e priva di qualsiasi critica reale. Attraverso post entusiastici, slogan rassicuranti e fotografie di folle pacificate, questi narratori dell'ovvio promuovono una visione dell'evento come celebrazione dell’establishment, riducendo ogni potenziale conflittualità a un indistinto sentimento di appartenenza generalizzata a valori che da almeno due decenni hanno ridotto i giovani ad eterni precari.

Invece di interrogarsi sulle nuove forme di sfruttamento, dalla gig economy, modello economico basato su lavori temporanei, saltuari o a chiamata, spesso gestiti attraverso piattaforme digitali, all'automazione disumanizzante, gli alfieri del pensiero unico usano questa data per celebrare il "bello stare insieme", scivolando nel più puro "nichilismo positivo" di cui parlava Nietzsche: un'adesione cieca a ciò che è, senza più l'ombra di un perché o di un contro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: chitarre scordate, una coscienza spenta, in cui l'antica carica sovversiva del Primo Maggio viene ridotta a un sottofondo di hashtag, birre tiepide e retorica dell'inclusione senza inclusione perché priva di conflitto.