I laboratori del futuro: dal cuore dei borghi calabresi ecco un nuovo modello di rinascita
Da Soveria Mannelli a Badolato, da Bova a Riace: viaggio tra i paesi che non si arrendono allo spopolamento ma reinventano se stessi con cultura, lavoro e comunità
C’è una Calabria che non piange più sulla propria marginalità, ma la studia, la smonta, e cerca di trasformarla in un laboratorio di futuro. Non con grandi investimenti o miracoli calati dall’alto, ma con esperimenti locali: amministratori testardi, comunità attive, giovani che tornano a casa e ripartono da ciò che resta — un edificio dismesso, un casale, una connessione internet decente.
Soveria Mannelli, il piccolo laboratorio di montagna
Soveria Mannelli è uno di quei luoghi che sembravano destinati all’oblio.
Nel cuore del Reventino, tremila anime e un passato da centro manifatturiero, ha vissuto lo stesso destino di centinaia di borghi calabresi: calo demografico, fuga dei giovani, case chiuse.
Eppure, qualcosa si muove.
L’amministrazione comunale ha scelto di aderire al bando regionale “Abita i borghi montani”, che offre incentivi economici a chi decide di trasferirsi o di aprire un’attività nel paese. Un gesto che va oltre la burocrazia: è un modo per dire “qui c’è ancora spazio”.
Nel centro storico, alcune abitazioni sono già state ristrutturate grazie al contributo regionale, e qualche giovane artigiano ha scommesso sulla possibilità di lavorare da remoto, integrando la vita digitale con quella rurale.
Ma non si tratta solo di incentivi. Soveria ha una sua identità culturale precisa: una tipografia storica, “Rubbettino”, che da decenni pubblica libri e idee nate nel cuore della Calabria, un esempio di come anche un’impresa “intellettuale” possa sopravvivere fuori dai grandi centri. Qui, l’innovazione non si misura solo in megabit al secondo: si misura nella capacità di una comunità di non disperdere il proprio capitale umano e simbolico.
Badolato, il borgo che ha fatto scuola
Più a sud, sul versante ionico, Badolato è diventato un nome emblematico per chi studia le politiche di rinascita dei borghi. Negli anni ’90 si era spopolato fino a diventare quasi un paese fantasma. A Badolato la svolta non nacque da una vendita simbolica di case a un euro, ma da una provocazione pubblica lanciata nel 1986 dal giornalista e bibliotecario Domenico Lanciano. L’articolo su Il Tempo — più grido d’allarme che offerta reale — richiamò attenzione su uno spopolamento estremo e fece da catalizzatore per flussi di interesse, acquisti e interventi successivi che hanno contribuito alla rinascita del borgo. Da lì, una piccola rivoluzione.
Artisti, pensionati, nomadi digitali e famiglie provenienti da ogni parte d’Europa hanno acquistato case e le hanno ristrutturate. Alcuni sono rimasti, altri hanno generato micro-economie parallele: bed & breakfast, ristorazione, artigianato, turismo culturale. Oggi Badolato è citato nei manuali di rigenerazione territoriale come uno dei primi esempi di “borgo glocal”, dove la vita lenta incontra l’apertura internazionale.
Bova e Riace, la resistenza culturale
Poi c’è la Bova grecanica, nell’Aspromonte ionico, dove la lingua dei nonni si mescola a nuovi linguaggi artistici e digitali.Qui il recupero non è solo economico ma identitario: corsi di greco di Calabria, festival culturali, laboratori di tessitura tradizionale. Un modo per dire che la cultura non è nostalgia, ma futuro.
E come non ricordare Riace, simbolo controverso ma innegabile di un modello di accoglienza e rinascita. Al di là delle polemiche giudiziarie, il messaggio è rimasto: un paese può rinascere se decide di riempire i vuoti non solo con muri e cemento, ma con persone, relazioni, storie.
Il filo rosso: borghi come laboratori, non come musei
Ciò che unisce Soveria, Badolato, Bova e Riace è una stessa filosofia: non attendere che lo sviluppo arrivi, ma provare a costruirlo in scala ridotta, con risorse locali e molta creatività. I borghi non sono più il “passato che si spegne”, ma laboratori del futuro — luoghi dove si può sperimentare una nuova economia civile, dove l’idea di comunità torna ad avere un senso.
C’è chi lavora da remoto in una ex scuola riconvertita in spazio coworking, chi produce miele biologico e lo vende online, chi apre un laboratorio artistico e richiama turisti per esperienze immersive. È un mosaico disordinato, ma vitale.
Il problema vero: l’assenza di un disegno complessivo
Il limite di questi esperimenti è la solitudine. Ogni borgo si muove per conto proprio, senza una cabina di regia regionale o nazionale che metta in rete le esperienze. Il rischio è che ognuno costruisca il suo piccolo miracolo, destinato però a restare isolato, senza continuità. Per questo la sfida oggi non è più “salvare il singolo paese”, ma creare un ecosistema di borghi interconnessi, dove l’unione fa rete, e la rete genera opportunità.
Una lezione per il Sud (e per l’Italia intera)
La lezione che arriva da questi paesi è chiara: lo sviluppo non è solo industriale o urbano. Nel tempo delle crisi globali, dei cambiamenti climatici e dell’invecchiamento demografico, i borghi possono tornare centrali proprio perché sanno vivere di poco, connessi, sostenibili, comunitari. Non è romanticismo: è sopravvivenza intelligente.
Soveria Mannelli, Badolato, Bova, Riace — ognuno a suo modo — dimostrano che l’Italia minore non è condannata all’invisibilità. Può diventare la frontiera dove si sperimenta un nuovo modo di abitare, lavorare, convivere. La vera sfida non è riempire le case vuote, ma dare un senso a chi decide di abitarle. E forse, tra una bottega riaperta e un computer acceso in un vecchio municipio, l’Italia del futuro sta già prendendo forma nei luoghi che tutti avevano dimenticato.