Il business del caos: le piattaforme incassano e travolgono un’informazione che non può competere con gli influencer
Dati regalati, emozioni monetizzate, influencer al posto dei giornali: l’economia invisibile che prospera sulla confusione digitale
Benvenuti alla quinta puntata di questo viaggio dentro il nuovo potere mediatico (a questi link trovate la prima, la seconda, la terza e la quarta). Dopo aver analizzato algoritmi, indignazione programmata, linguaggi lampo e notizie a scadenza, è arrivato il momento di fare la domanda più semplice e più scomoda di tutte: chi ci guadagna? Perché il caos non è un incidente: è un modello di business. E funziona benissimo.
Le piattaforme monetizzano quello che ci fa reagire, non quello che ci fa capire
Ogni emozione è un click. Ogni click è un dato. Ogni dato è denaro. Le big tech non hanno alcun interesse a promuovere contenuti equilibrati, lenti, approfonditi: non generano abbastanza interazioni. La rabbia sì. Lo sdegno sì. La paura sì. Le piattaforme non vendono informazione: vendono noi, confezionati in pacchetti pubblicitari sempre più precisi.
La pubblicità mirata è possibile perché regaliamo tutto: gusti, abitudini, fragilità
Non paghiamo i social con denaro, ma con qualcosa di molto più prezioso: i nostri dati. Ogni post guardato, ogni commento scritto, ogni secondo di video trattenuto è una scheda tecnica della nostra identità digitale. Più siamo prevedibili, più la pubblicità funziona. Più la pubblicità funziona, più il caos viene incoraggiato: il rumore tiene gli utenti dentro, non la qualità.
Gli influencer hanno sostituito i giornali perché costano meno e rendono di più
Le aziende non hanno più bisogno di media tradizionali: basta un creator con un milione di follower per generare lo stesso effetto di una campagna pubblicitaria classica — ma a un decimo del costo e con un’efficacia emotiva molto maggiore. Così, il mercato dell’informazione certificata viene cannibalizzato da un mercato parallelo fatto di consigli, opinioni, “verità personali”, contenuti non verificati e zero responsabilità. L’influencer è oggi l’intermediario preferito del capitalismo digitale: efficace, veloce, non regolamentato.
Come può un giornale, che paga redattori, verifica fonti, controlla notizie e rischia querele, competere con un creator che produce contenuti in mezz’ora, senza alcun obbligo di accuratezza? La risposta è semplice: non può. E infatti perde. Il caos informativo non è solo un danno culturale: è un vantaggio economico per chi lo genera.
Le piattaforme restano impunite: guadagnano come editori, ma rifiutano la responsabilità degli editori
È il cuore del problema. Decidono cosa si vede, cosa si nasconde, cosa esplode e cosa scompare. Controllano il flusso, influenzano l’opinione pubblica e orientano il dibattito politico. Eppure, quando c’è un contenuto falso, illegale o pericoloso, si presentano come semplici “spazi neutri”. Neutri non lo sono affatto. Potenti lo sono eccome.
Guadagnano come editori, ma non rispondono come editori. È la più grande asimmetria del nostro tempo. Il caos digitale non è un effetto collaterale: è il carburante dell’intero sistema. Ed è alimentato da un meccanismo che ci usa, ci profila e ci rivende. Nell’ultima puntata proveremo a rispondere alla domanda più difficile: Come se ne esce? Quali alternative esistono davvero a un sistema che trasforma tutto in emozione, tutto in business e tutto in rumore?