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14/12/2025 ore 06.30
Attualità

Il business del caos: le piattaforme incassano e travolgono un’informazione che non può competere con gli influencer

Dati regalati, emozioni monetizzate, influencer al posto dei giornali: l’economia invisibile che prospera sulla confusione digitale

di Raffaele Florio

Benvenuti alla quinta puntata di questo viaggio dentro il nuovo potere mediatico (a questi link trovate la prima, la seconda, la terza e la quarta). Dopo aver analizzato algoritmi, indignazione programmata, linguaggi lampo e notizie a scadenza, è arrivato il momento di fare la domanda più semplice e più scomoda di tutte: chi ci guadagna? Perché il caos non è un incidente: è un modello di business. E funziona benissimo.

Le piattaforme monetizzano quello che ci fa reagire, non quello che ci fa capire

Ogni emozione è un click. Ogni click è un dato. Ogni dato è denaro. Le big tech non hanno alcun interesse a promuovere contenuti equilibrati, lenti, approfonditi: non generano abbastanza interazioni. La rabbia sì. Lo sdegno sì. La paura sì. Le piattaforme non vendono informazione: vendono noi, confezionati in pacchetti pubblicitari sempre più precisi.

La pubblicità mirata è possibile perché regaliamo tutto: gusti, abitudini, fragilità

Non paghiamo i social con denaro, ma con qualcosa di molto più prezioso: i nostri dati. Ogni post guardato, ogni commento scritto, ogni secondo di video trattenuto è una scheda tecnica della nostra identità digitale. Più siamo prevedibili, più la pubblicità funziona. Più la pubblicità funziona, più il caos viene incoraggiato: il rumore tiene gli utenti dentro, non la qualità.

Gli influencer hanno sostituito i giornali perché costano meno e rendono di più

Le aziende non hanno più bisogno di media tradizionali: basta un creator con un milione di follower per generare lo stesso effetto di una campagna pubblicitaria classica — ma a un decimo del costo e con un’efficacia emotiva molto maggiore. Così, il mercato dell’informazione certificata viene cannibalizzato da un mercato parallelo fatto di consigli, opinioni, “verità personali”, contenuti non verificati e zero responsabilità. L’influencer è oggi l’intermediario preferito del capitalismo digitale: efficace, veloce, non regolamentato.

Come può un giornale, che paga redattori, verifica fonti, controlla notizie e rischia querele, competere con un creator che produce contenuti in mezz’ora, senza alcun obbligo di accuratezza? La risposta è semplice: non può. E infatti perde. Il caos informativo non è solo un danno culturale: è un vantaggio economico per chi lo genera.

Le piattaforme restano impunite: guadagnano come editori, ma rifiutano la responsabilità degli editori

È il cuore del problema. Decidono cosa si vede, cosa si nasconde, cosa esplode e cosa scompare. Controllano il flusso, influenzano l’opinione pubblica e orientano il dibattito politico. Eppure, quando c’è un contenuto falso, illegale o pericoloso, si presentano come semplici “spazi neutri”. Neutri non lo sono affatto. Potenti lo sono eccome.

Guadagnano come editori, ma non rispondono come editori. È la più grande asimmetria del nostro tempo. Il caos digitale non è un effetto collaterale: è il carburante dell’intero sistema. Ed è alimentato da un meccanismo che ci usa, ci profila e ci rivende. Nell’ultima puntata proveremo a rispondere alla domanda più difficile: Come se ne esce? Quali alternative esistono davvero a un sistema che trasforma tutto in emozione, tutto in business e tutto in rumore?