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28/04/2025 ore 16.43
Attualità

Il cuoco dei tre Papi: ricordi, sapori e sorrisi dalla tavola della storia

Si chiama Sergio Dussin, ha 67 anni, e dai suoi ristoranti è arrivato fino in Vaticano. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco hanno assaporato i suoi piatti

di Luca Arnaù

C’è un uomo, nel cuore del Veneto, che ha servito tre Papi con la discrezione dei grandi e la passione di chi conosce il vero valore del cibo. Si chiama Sergio Dussin, ha 67 anni, e dai suoi ristoranti di Romano d’Ezzelino e Asolo è arrivato fino alle tavole più solenni del Vaticano. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Papa Francesco: tutti hanno assaporato i suoi piatti, ricevuto il suo dono silenzioso di cura e attenzione.
«Se mi confermassero anche per il prossimo Pontefice – sorride – sarei il primo nell'età moderna ad aver cucinato per quattro Papi. È un onore che supera ogni sogno». Dussin parla senza enfasi, con quella semplicità che ha reso il suo modo di stare al mondo affine a quello degli uomini che ha servito: pastori, prima che sovrani.

Tutto cominciò nel maggio del 2002. In Vaticano si celebrava il giuramento annuale delle Guardie svizzere e Sergio, che aveva intrecciato qualche contatto durante il Giubileo del 2000, fu chiamato a preparare il pranzo solenne. Tra i piatti che propose, uno in particolare colpì il cuore (e il palato) dei presenti: l’asparago bianco di Bassano, un’eccellenza della sua terra. «Fu quello il primo passo – ricorda –. Poi vennero gli inviti per i pranzi dell'Accademia Pontificia, e non mi sono più fermato».

Il primo Pontefice con cui incrociò il destino fu Karol Wojtyła. «Erano gli ultimi anni della sua vita, segnati dalla malattia. Per lui preparavo piatti semplici: zuppe calde, frullati nutrienti. Cercavo sempre di trovare sapori che potessero confortarlo senza appesantirlo». Dussin sorride piano, come chi ha visto da vicino la fragilità dei giganti. «Aveva uno sguardo pieno di dolcezza e di forza, anche nei giorni più difficili».

Poi venne Benedetto XVI. Con Joseph Ratzinger il rapporto cambiò sfumatura: divenne più intellettuale, quasi confidenziale. «Amava il cibo buono, ma senza eccessi. Gradiva i piatti semplici della tradizione veneta: il riso con gli asparagi bianchi, i broccoli di Bassano, le carni bianche delicate». Niente funghi, niente vino, solo acqua naturale e, ogni tanto, una spremuta d’arancia. «Ma sui dolci era diverso – racconta –. Amava la Sacher più di ogni altra cosa. Poi millefoglie, crostate di frutta, gelati con fragole fresche in estate». Quando Benedetto XVI si ritirò, Sergio continuò a servirlo, portando nei Giardini Vaticani sapori familiari che consolavano la solitudine del papa emerito.

Con Jorge Mario Bergoglio, invece, il rapporto si fece ancora più umano. «Francesco amava la semplicità. Apprezzava i nostri ravioli agli asparagi bianchi, ma anche la carne: la sfida era grande, considerando che veniva dall’Argentina, patria delle migliori carni rosse. Gli proposi la Basaninaa, le nostre carni locali: tagliata, costata, brasato. E la gradì, eccome».
Amava tutte le verdure: patate, broccoli, carciofi, radicchio di Treviso. Sobrio nei gusti, beveva acqua gasata naturale e poco vino. «Più di tutto, voleva un vassoio di frutta fresca a centrotavola. Gli piaceva poter assaggiare pezzi di stagione durante il pasto, come in una casa qualsiasi».

Non sono solo i pasti privati a restare nel cuore di Dussin, ma anche i grandi banchetti ufficiali che ha organizzato per capi di Stato, ambasciatori, reali. «Ogni menu – racconta – veniva studiato con attenzione: rispetto delle regole kosher per gli ospiti ebrei, niente maiale né vino per i musulmani. Doveva essere un'accoglienza che partiva dal rispetto profondo della cultura e della fede degli altri».

Eppure, il ricordo più tenero, quello che fa brillare gli occhi dello chef veneto, è legato ai pranzi dei poveri voluti da Papa Francesco. «Nel 2022, in un pranzo con millecinquecento persone, preparai una grande millefoglie con scaglie di cioccolato. Gliela portai davanti. Lui la tagliò come si taglia la torta a una festa di famiglia, tra gli applausi e le lacrime dei presenti. Era seduto in mezzo alla gente, mescolato tra gli ultimi, e ogni sorriso, ogni stretta di mano era autentico, vero, indimenticabile».

A sentirlo raccontare, viene da pensare che per Sergio Dussin la cucina sia stata, in fondo, solo uno strumento. Uno strumento per avvicinarsi al cuore degli uomini. «Il sorriso di Francesco, gli occhi limpidi di Benedetto, la gratitudine silenziosa di Giovanni Paolo II... sono i ricordi che porto con me. Più preziosi di qualsiasi riconoscimento».
Ora, mentre il mondo guarda al futuro e attende il prossimo Pontefice, Sergio Dussin rimane in silenziosa attesa. Pronto, se verrà chiamato ancora una volta, a cucinare non per il potere, ma per l'anima. Perché un buon pasto, in fondo, è sempre una forma d'amore.