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15/07/2025 ore 19.17
Attualità

Il Delfino, a Cosenza una delle prime comunità per tossicodipendenti della Calabria. Don Vergara: «Tanti sono al secondo o terzo accesso»

VIDEOIl presidente onorario ripercorre la storia della struttura nata negli anni Ottanta oggi con sede a Castiglione Cosentino e avverte i genitori: «Non abbiate paura di violare la privacy dei vostri figli»

di Emilia Canonaco

«Mi occupo di drogati, non di droga». Don Salvatore Vergara - presidente onorario de "Il Delfino" - ripercorre la storia di una delle prime comunità terapeutiche per tossicodipendenti nate in Calabria. Corrono gli anni Ottanta e a Cosenza scorrono fiumi di eroina. L'arcivescovo monsignor Dino Trabalzini "annusa" l'emergenza che dilaga in città e manda a Roma don Vincenzo De Luca: il giovane sacerdote frequenta il Centro italiano di solidarietà fondato da don Mario Picchi - che dal 1971 si occupa di tossicodipendenza - e apprende le nozioni necessarie che consentiranno di riproporre in Calabria quel modello di comunità di recupero. Decisivo il contributo svolto dallo psichiatra cosentino Giuseppe Granieri.

"Il Delfino" assume la forma di una cooperativa sociale e inizia a muovere i primi passi in un piccolo appartamento situato su via Trento a Cosenza, dove si offre ospitalità agli eroinomani che manifestano la volontà di farla finita con la droga.

Dopo alcuni anni trascorsi nella sede in centro città, "Il Delfino" si trasferisce su viale degli Stadi, in uno stabile (senz'altro più ampio) messo a disposizione dall'allora sindaco di Cosenza Giacomo Mancini. Dopo un passaggio sul territorio di Rende, la comunità terapeutica mette radici solide nella bella struttura di Castiglione Cosentino dove attualmente sono in cura venti tossicodipendenti.

Nonostante la Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle dipendenze (riferita ai dati del 2024) definisca la cocaina come la sostanza stupefacente più diffusa, nella comunità terapeutica "Il Delfino" gli ospiti sono quasi sempre eroinomani cronici, con un'età media di quarantadue anni. Don Salvatore Vergara confessa: «Molti sono al secondo o terzo accesso perché, a distanza di tempo, purtroppo ricadono nella dipendenza».

"Il Delfino" opera in stretta sinergia con il SERD di Cosenza che, allo stato, ha in cura cinquecento tossicodipendenti. Cifre che per don Salvatore Vergara non restituiscono a pieno le dimensioni del fenomeno: «Per esperienza, sono abituato a moltiplicare questi numeri per cinque. Molte persone che fanno uso di droghe non riconoscono la dipendenza, pensano di poter smettere quando vogliono, di non avere bisogno di aiuto e, di conseguenza, non si rivolgono ai servizi. Una convinzione che, forse, produce più danni della droga stessa».

All'interno de "Il Delfino" opera un'equipe multidisciplinare composta da uno psichiatra, uno psicologo, un medico di medicina generale, un assistente sociale e alcuni educatori. Non si tratta di una comunità terapeutica "lavorativa" - come invece avviene in altre realtà italiane - ma sono comunque previsti laboratori e attività quotidiane. Gli ospiti, durante il giorno, si occupano della cura di sé, della preparazione dei pasti e della gestione delle aree comuni.

«La permanenza media - spiega don Salvatore Vergara - è di circa diciotto mesi e, prima di lasciare la struttura, si svolge la cerimonia della "graduazione". Il percorso terapeutico ha lo scopo di favorire il reinserimento degli ex tossicodipendenti in famiglia e nella società. Ma sappiamo che molti di loro sono destinati, prima o poi, a tornare in comunità a causa di una ricaduta».

In quarant'anni di lavoro presso "Il Delfino", davanti agli occhi di don Salvatore Vergara sono passate centinaia (migliaia?) di persone che hanno bruciato la propria vita a causa della droga. Troppe, purtroppo, quelle che hanno perso la partita con la droga, e lasciato ogni volta una cicatrice sul cuore e nella mente degli operatori della comunità. Un motivo in più per fare prevenzione e affrontare il fenomeno da un punto di vista culturale e sociale, prima che sanitario.

La recente indagine conoscitiva della commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza rivela che il quaranta percento dei giovani tra i quindici e i diciannove anni in Italia ha consumato almeno una volta una sostanza psicoattiva, cannabis in testa. Sulle cosiddette "droghe leggere", don Salvatore Vergara ha le idee ben chiare: «In comunità, sa quanti eroinomani ci sono che hanno iniziato dalla cannabis? Soltanto due. È per questo che esorto i genitori a non avere paura di violare la privacy dei loro figli. Da quando un ragazzo comincia a fare uso di sostanze psicotrope a quando un genitore ammette di avere un figlio tossicodipendente passano in media dieci anni».