Il grido dalle carceri italiane: «Disumane, sovraffollate, ignorate dalla politica che finge di non capire»
Gli istituti penitenziari sono al collasso: oltre 61.000 detenuti per una capienza di 51.000 posti. Ben 44 suicidi dall’inizio dell’anno, strutture fatiscenti, personale ridotto all’osso. La voce dell’ex ministro recluso Alemanno è arrivata in Parlamento, ma in cella ci sono troppi fantasmi senza speranza
Rebibbia, 29 giugno 2025. “180° giorno di carcere. La politica dorme e non si accorge che a giugno siamo arrivati a 5 proteste carcerarie in tutta Italia. Errore clamoroso (oggi reato) da parte dei detenuti, follia da cervelli surriscaldati e da persone accatastate una sull’altra”.
A parlare Gianni Alemanno, che ha attraversato le istituzioni dello Stato, fino a diventare ministro, sindaco di Roma, a lungo parlamentare. Oggi detenuto. Evitando i soliti commenti sciocchi e il qualunquismo da marciapiede, bisogna capire e immaginare il dramma delle carceri, prima di esprimere giudizi. Quelli di Alemanno sono parole forti, drammatiche, lette al Senato da un senatore del Partito Democratico. Le parole che squarciano il silenzio ipocrita che avvolge da decenni la questione carceraria in Italia.
Merito di Alemanno di essere riuscito con la sua lettera a penetrare le auree parlamentari, che proprio dalla sua parte politica sono spesso sorde a queste istanze, alla tragedia del carcere, alla disumanità in cui si vive in quelle celle, ai diritti umani che non sono più garantiti una volta varcato il cancello di un carcere. Come se il detenuto non avesse una dignità da rispettare, come se non fosse più un uomo, come se non fosse più una persona. E a nulla sono valsi i continui appelli di Papa Francesco, il quale si è recato più volte nelle carceri romane proprio per denunciare le condizioni assurde in cui vivono il carcerati.
Dietro le sbarre dell’Italia: Alemanno e i dimenticati, la vergogna che ignoriamoAlemanno ha potuto scrivere, parlare, far arrivare la sua voce forte e grave.
Ma chi parla per le migliaia di detenuti anonimi che vivono ogni giorno nelle stesse condizioni, senza nome, senza diritti, senza speranza? Chi si fa carico delle vite dei più fragili, dei tossicodipendenti, degli immigrati irregolari usati dalla criminalità per spacciare droga e poi scaraventati in cella a marcire, spesso per reati minori, senza possibilità di riscatto?
Le carceri italiane sono al collasso, e lo sappiamo. Ma continuiamo a far finta di niente. I dati sono chiari: oltre 61.000 detenuti per una capienza di 51.000 posti. Celle sovraffollate, strutture fatiscenti, personale ridotto all’osso, mancanza di assistenza psicologica e medica, percorsi di reinserimento inesistenti. Non è un’eccezione, è la regola.
E come al solito, non ha fatto mancare la sua voce forte ed autorevole anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha lanciato un appello preoccupatissimo: “È drammatico il numero di suicidi nelle carceri, che da troppo tempo non dà segni di arresto. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, sulla quale occorre interrogarsi per porvi fine immediatamente. I luoghi di detenzione non devono trasformarsi in palestra per nuovi reati; in palestra di addestramento al crimine; né in luoghi senza speranza, ma devono essere effettivamente rivolti al recupero di chi ha sbagliato.”
Nonostante queste parole, la politica fa orecchie da mercante, soprattutto il governo fa finta di non capire, i ministri e competenti mandano le stampe qualche dichiarazione di rito, ma poi tutto rimane fermo nella sua gravissima condizione.
Ma ormai è chiaro a tutti: il carcere, così com’è, ha fallito. Non redime, non recupera, non educa. Il suo unico risultato è quello di moltiplicare la disperazione. E troppo spesso i suicidi giunti ormai a livelli record. Sono già 44 i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno, e siamo solo a luglio. Una strage silenziosa. E con l’arrivo dell’estate le condizioni del carcere, come ha drammaticamente segnalato Alemanno, diventano ancora peggiori. Ben oltre la disumanità. Ben oltre il minimo necessario perché un uomo possa sopravvivere al caldo soffocante, alla mancanza d’aria, di acqua, e anche di una doccia.
Ma di tutto questo si parla poco. Perché la società, nel suo complesso, ha deciso che chi è in carcere merita di soffrire. Che l’errore va pagato con l’annullamento. Che la vendetta sociale è più utile della giustizia riparativa. È una cultura pericolosa, che rende tutti più insicuri. Perché il carcere così com’è oggi produce nuovi reati, come ammonisce lo stesso Capo dello Stato. E chi esce da quella spirale, se mai ci riesce, è spesso più arrabbiato, più pericoloso, più abbandonato di prima.
E allora cosa ci resta? Ci resta il dovere di cambiare. Di ripensare le pene. Di usare di più le misure alternative. Di investire in educazione, in lavoro, in psicologi, in assistenti sociali. Di restituire al carcere una funzione umana, non disumana.
Come ha scritto Gianni Alemanno, “la politica dorme”. Ma il Paese non può più permettersi questo sonno. Tutto questo non perché a parlare sia stato un ex ministro, un personaggio di punta delle istituzioni nazionali, ma per tutti quelli che sono muti o non hanno diritto di parola, e soffocano nella loro disperazione. Perché chi ha avuto modo di visitare le carceri sa benissimo che i detenuti, nella stragrande maggioranza, sono persone che non hanno un volto, che non hanno un diritto, che in un grande numero sono addirittura innocenti. Basta leggere un po’ le statistiche. Ma tutto questo non basta, perché la nostra è una società che diventa sempre più maligna, sempre più cattiva, sempre più indifferente.