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26/12/2025 ore 13.52
Attualità

Il Natale dei cuori spezzati di chi ha perso un proprio caro, così la festa diventa ferita

Il lutto recente trasforma le festività in un tempo sospeso, in cui il dolore convive con i rituali e la memoria prende il posto dell’allegria

di Raffaele Florio

Per chi ha perso qualcuno da poco, il Natale non arriva mai come una festa. Arriva come un appuntamento inevitabile, difficile da evitare, carico di ricordi. Le luci, le canzoni, le tavole imbandite non consolano: riaprono ferite ancora vive. Il tempo delle festività, che per molti è attesa e condivisione, per chi è in lutto diventa un attraversamento faticoso.

Il dolore recente non conosce tregua. Ma a Natale si amplifica, perché tutto intorno sembra chiedere felicità. Le domande si ripetono: “Come fai senza di lui?”, “Cosa farete quest’anno?”. Domande spesso inconsapevoli, ma che costringono a confrontarsi con un’assenza che non ha ancora trovato un posto nella vita quotidiana.

La casa, durante le feste, è piena di presenze invisibili. Una sedia vuota, un posto a tavola che resta scoperto, un gesto abituale che non si compie più. Ogni dettaglio diventa un richiamo. Il Natale è il tempo dei rituali, e quando uno di questi viene spezzato dalla perdita, il vuoto diventa tangibile.

Molti vivono le festività in silenzio, riducendo al minimo le celebrazioni. Non per rifiuto della festa, ma per protezione. Accendere meno luci, evitare i pranzi numerosi, rinviare gli auguri. È un modo per attraversare il dolore senza esserne travolti. Altri, al contrario, scelgono di mantenere i rituali, come un atto di resistenza o di memoria. Non esiste un modo giusto di vivere il Natale dopo un lutto.

In Calabria, dove le feste sono ancora fortemente legate alla famiglia, l’assenza pesa in modo particolare. La perdita non è solo individuale, ma condivisa. Coinvolge genitori, figli, fratelli, comunità intere. Il Natale diventa così un momento collettivo di dolore trattenuto, spesso non espresso.

Anche la dimensione religiosa assume un significato diverso. Per alcuni la fede diventa un appiglio, un luogo in cui cercare senso e conforto. Per altri, al contrario, il lutto apre domande che non trovano risposta. Le chiese, durante il Natale, accolgono anche questo silenzio: quello di chi non prega, ma cerca semplicemente uno spazio in cui stare.

Con il tempo, il dolore cambia forma, ma il primo Natale resta un confine. È il momento in cui si prende atto che nulla sarà più come prima. Non è una resa, ma una consapevolezza. La festa non guarisce la ferita, ma può insegnare a conviverci.

Raccontare il Natale per chi ha perso qualcuno significa riconoscere che non tutte le luci servono a illuminare. Alcune servono solo a ricordare. E che anche nel silenzio, anche nel dolore, esiste una forma di umanità che merita rispetto.