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23/11/2025 ore 17.06
Attualità

Il naufragio del quarto potere: la stampa affonda, l’Italia resta senza controllo

Crollo delle vendite, redazioni svuotate e lettori scomparsi: la crisi dei giornali non è un problema industriale, ma una minaccia diretta alla democrazia

di Raffaelle Florio

Inizia oggi un viaggio in sei puntate sulla crisi della stampa in Italia. Un declino che ha radici antiche e ragioni complesse. LaC proverà a raccontarvelo. 

C’è un momento in cui anche le strutture più solide cominciano a creparsi, e quelle crepe non restano mai innocue. Il giornalismo è arrivato esattamente lì: alla crepa che peecede il crollo. La crisi non è un titolo di convegno, non è un allarme lanciato dai nostalgici della carta. È un dato di fatto: la stampa sta affondando, e lo sta facendo in silenzio, nell'indifferenza generale, mentre la democrazia perde, un pezzo alla volta, il suo controllo pubblico.

I numeri che urlano silenzio

Le cifre sono spietate. Secondo Agcom, nel primo trimestre del 2024 si vendono 1,32 milioni di copie al giorno. Erano 1,9 milioni nel 2020.

Significa un terzo dei lettori spariti in quattro anni.

La copia cartacea, lo zoccolo duro, crolla del 35,4%. Il digitale? Un miraggio: cresce appena dell’1,7%, fermo a 190 mila copie. Una goccia, non un’ancora di salvezza.

Intanto le edicole chiudono una dopo l’altra. I giornali spariscono dalle strade. L’informazione scompare dal tessuto urbano.

E quando un giornale sparisce dalla strada, sparisce anche dalla mente.

Le cause del disastro (che tutti fingono di non vedere)

La morte della stampa non è un incidente: è un suicidio assistito: il modello economico è saltato.

La pubblicità cartacea vale sempre meno. Il mercato digitale, invece, se lo sono preso Google e Meta: loro incassano, le redazioni sopravvivono a stento.

Il digitale non è la salvezza. Le edizioni online non producono ricavi sufficienti. Gli abbonamenti digitali, che avrebbero dovuto “salvare tutto”, non reggono i costi di una redazione vera.

Il giornalismo è diventato un mestiere per ricchi e infatti la Fondazione Feltrinelli lo dice senza giri di parole: chi non ha risorse esterne non può fare il giornalista.

È il fallimento di un Paese che ha trasformato il quarto potere in un hobby per chi può permetterselo.

Poi le condizioni di lavoro sono indegne: precariato cronico, collaborazioni pagate a due euro, redazioni svuotate. Un giornalismo povero produce un’informazione povera.

Ma anche il lettore non c’è più: nel 2007 il 67% degli italiani leggeva quotidiani. Nel 2023 siamo al 22%.

Il resto si nutre di meme, feed, notizie “a sentimento”. Ma lo spostamento non è solo tecnologico: è anche culturale. Chi si nutre solo di contenuti confezionati per l’indice di gradimento perde l’abitudine alla verifica, alla profondità, alla fatica della lettura.

La conseguenza più grave è un Paese senza controllo. E qui si tocca il punto cruciale. Non è soltanto una crisi industriale: è una crisi democratica. Meno giornali significa meno indagini, meno domande, meno verità dette a voce alta.

Un potere senza un cane da guardia è un potere che non risponde a nessuno. E infatti, guarda caso, questo declino non scandalizza né governi né opposizioni. Perché una stampa debole è il sogno di chiunque voglia governare indisturbato.

Chi prova a reagire? Quasi nessuno, qualcuno si illude che basti un restyling del sito o un format "giovane" su TikTok. È fumo negli occhi.

Il giornalismo o è indipendente e sostenibile, oppure non è.

Servono tre cose, tutte difficili e tutte necessarie:

1. Un modello digitale vero, che non lasci la rendita pubblicitaria alle piattaforme;

2. Un intervento pubblico intelligente, che non sia elemosina ma difesa della democrazia;

3. Nuovi giornali locali e indipendenti, capaci di raccontare i territori senza piegarsi ai potentati.

Se non lo si capisce ora, quando i numeri sono impietosi e il sistema è in apnea, sarà troppo tardi.

Anche perché il naufragio è già iniziato. Le redazioni italiane navigano in acque sempre più basse. Ogni anno si perde qualche centimetro. È un naufragio lento, ma inesorabile. E la cosa più inquietante è che non si vede nessuno remare per salvarle.

Se la stampa muore, non muore un settore: muore la nostra possibilità di essere cittadini informati. Il diritto all’informazione rischia di diventare un lusso per pochi. E quando l’informazione diventa un lusso, la democrazia diventa un’illusione.