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23/11/2025 ore 07.01
Attualità

In Italia diventare adulti è un processo sempre più lento: si studia più a lungo, si va via di casa e si diventa genitori tardi

La transizione all’età adulta continua a spostarsi in avanti: casa, lavoro, matrimonio e figli arrivano molto dopo rispetto alle generazioni precedenti

di Luca Arnaù

In Italia le tappe della vita non scorrono più come un tempo. Il passaggio alla piena età adulta si dilata, cambia ritmo, accumula ritardi che diventano strutturali e si riflettono nei numeri delle statistiche demografiche. Oggi ci si laurea più avanti, si lascia la casa dei genitori intorno ai trent’anni, ci si sposa quasi a quaranta e il primo figlio arriva mediamente dopo i trentadue anni della donna. Una fotografia che racconta molto più di una semplice trasformazione culturale: è lo specchio di un Paese che invecchia e in cui i giovani sono sempre meno.

Tra il 2005 e il 2024 il calo degli italiani tra 25 e 34 anni è stato drastico: da 8,5 milioni a 6,2, un crollo del 26,6%. Una generazione rarefatta, numericamente schiacciata tra due curve demografiche che seguono traiettorie opposte: gli under 24 diminuiscono appena, mentre la popolazione complessiva cresce leggermente. Nel mezzo, proprio nella fascia che dovrebbe costruire lavoro, famiglie e futuro, la spirale si restringe.

Allungare i tempi dell’età adulta significa modificare la mappa stessa delle abitudini familiari. Nel 2024 quasi la metà dei giovani tra 25 e 34 anni viveva ancora con i genitori: il 44%, una percentuale che diventa 63,3% se si considerano tutti gli under 35. E il dato, anziché ridursi, cresce rispetto al 2005. Nonostante le misure per favorire l’acquisto della prima casa e i bonus dedicati alle giovani coppie, il passaggio a un’abitazione autonoma resta un traguardo lento, spesso incerto, e comunque più tardo rispetto ad altri Paesi europei.

Parallelamente diminuisce il numero dei matrimoni nelle età tradizionalmente considerate “centrali”: tra gli uomini 25-34 anni il tasso per mille residenti è passato da 36 a 22; tra le donne da 38 a 24. Un calo che rispecchia sia la trasformazione culturale sia l’instabilità economica che accompagna le nuove generazioni. Si rinvia, si pondera, si lascia aperta la porta a una stabilità che molti non percepiscono come raggiungibile in tempi brevi.

Sul fronte dell’istruzione, intanto, i numeri si muovono nella direzione opposta. Tra i 24 e i 34 anni la quota di laureati è più che raddoppiata, passando dal 16,2% del 2005 al 31,6% attuale. Aumentano gli anni di studio, aumenta l’età media alla laurea – 25 anni per il primo livello, oltre 26 per la magistrale – e aumenta anche il numero di studenti che lavora già prima di concludere gli studi: erano il 36% tra i laureati del 2015, sono il 42% nel 2023, un dato che mostra la pressione crescente a “tagliare i tempi”, anticipare il contatto con il mondo del lavoro pur restando nel percorso universitario.

Ed è proprio il lavoro il crocevia più delicato di questa trasformazione. L’occupazione giovanile ha recuperato terreno rispetto ai minimi del 2014: oggi il 68,7% dei giovani tra 25 e 34 anni ha un impiego. Ma essere lavoratori non significa più, come un tempo, essere automaticamente genitori. Solo il 22,7% di questi occupati ha un figlio: 965mila giovani genitori su 4,2 milioni di occupati. Una quota in costante diminuzione nonostante l’aumento dell’occupazione, segno che le condizioni economiche non bastano più a spiegare la scelta di rinviare la maternità e la paternità. In molti casi è una decisione legata alla percezione che mettere su famiglia significhi interrompere percorsi personali, precarizzare equilibri appena raggiunti, rinunciare a possibilità ancora aperte.

Nel complesso, secondo le elaborazioni più recenti, solo il 13% degli italiani tra 18 e 34 anni ha già un figlio. E tra i 12 milioni di residenti nella fascia 25-34 anni si contano oggi circa 184mila genitori soli under 35 e 851mila donne con figli che vivono in coppia. Nel 2005 erano il 10,8%: un declino che racconta una verità più profonda della denatalità, quella della “de-genitorialità”, un progressivo allontanamento dalla scelta di diventare madre o padre nelle età in cui un tempo si costruiva la base della piramide sociale.

La traiettoria è chiara: i giovani sono meno, arrivano più tardi alle tappe fondamentali della vita, costruiscono famiglie con maggiore cautela e tendono a rimanere più a lungo nella casa d’origine. Un Paese che cambia, lentamente ma inesorabilmente, con un’intera generazione sospesa tra aspettative nuove e un equilibrio economico e sociale sempre più difficile da raggiungere.