In questa Pasqua facciamo come gli acrobati: lanciamoci verso la speranza di una pace che faccia trionfare gli umili
Gli auguri dell’arcivescovo di Cosenza ai lettori: «In questi giorni di festa sfidiamo la gravità per vedere le cose da un’altra prospettiva. Abbandoniamo le nostre certezze e diventiamo un segno per gli altri»
Celebrare Pasqua nell’anno giubilare dedicato alla speranza è un dono davvero incomparabile. Talora confondiamo la speranza con l’ottimismo, ma l’ottimismo è un atteggiamento preconcetto, una sorta di partito preso sul mondo, o – come dice qualcuno (A. Candiard) – un velo sul mondo.
La speranza cristiana è invece realistica perché chiama le cose con il loro nome, anche se si muove nell’incertezza, e ci ricorda che il mondo non ci appartiene, anche se ci è stato donato. La mancata speranza fa entrare nella fibrillazione del “voglio tutto qui, ora e come dico io” ed è segno di ateismo pratico, di chi si mette al posto di Dio a stabilire i criteri dell’essere e dell’agire.
In qualche maniera la speranza è l’atteggiamento antiidolatrico che si oppone alla sindrome dell’onnipotenza, alla voracità del potere che tanto affatica questo nostro tempo. Se l’ottimismo ti fa manipolare la realtà ancora prima di accoglierla, la speranza ti ci fa entrare dentro, accogliendola per quello che è, accettandone la complessità (tessuto [complexus: ciò che è tessuto insieme] di elementi eterogenei intrecciati in modo inseparabile “(E. Morin, 1990), ritrovandovi -spesso in maniera disordinata- elementi che non avresti pensato di incontrare.
Qualcuno definisce, ancora, la speranza del credente un atteggiamento che assomiglia a quello di un acrobata che sfida la gravità per vedere le cose da un’altra prospettiva. E se permettiamo al Vangelo e ai suoi paradossi di tracciare la prospettiva, ecco che superiamo la sfiducia da una parte, dall’altra un irenismo sciocco che dice che va tutto bene o che andrà tutto bene nel futuro, ma assumiamo la condizione di donne e uomini incarnati nella storia, in quella storia che il Signore ha scelto di abitare vivendola dal di dentro.
E se da acrobati proviamo a fare questa esperienza, anche per noi si apre la parola della Risurrezione. E non perché l’abbiamo studiata a catechismo, ma perché abbiamo fatto l’esperienza di un Dio che sbaraglia la storia, ci siamo accorti che anche per noi come per Pietro e Giovanni che vanno al sepolcro e lo trovano vuoto, la verità è sempre più delle nostre certezze, sempre oltre il nostro delimitare e controllare, sempre più grande delle nostre dimensioni.
Solo chi si faceva illuminare la mente dalla speranza poteva far memoria delle parole del Vangelo di fronte al sepolcro vuoto, solo per chi aveva speranza nel cuore lo scomparire dopo aver spezzato il pane ad Emmaus non era nascondimento ma rivelazione, solo per chi guardava con gli occhi intrisi di speranza la ferita aperta del costato del crocifisso non era il segno della morte, ma della vita che rinasce dal sangue e dall’acqua.
È più rassicurante vivere con le nostre certezze? Probabilmente nell’immediato è così. Ma vale la pena provare in questa Pasqua a fare l’esperienza dell’acrobata che si lancia con il proprio corpo sfidando la natura e le leggi di gravità, abbandonandoci alla logica iperbolica del Vangelo che ci spinge sempre oltre, e chiedendo al Signore, con i semplici del Vangelo: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mt 9,24).
Ma quando questo succede, diventiamo capaci di credere che la pace verrà, che i potenti saranno sbaragliati dai loro troni e saranno innalzati gli umili, e ci crediamo perché questa speranza cominciamo a viverla noi, come siamo, nel posto che occupiamo, diventando così segno di speranza per i fratelli e sorelle per i quali siamo prossimo.
Auguri di Santa Pasqua, con le parole di un grande uomo, un grande credente:
“Voi che credete, voi che sperate, correte su tutte le strade, le piazze a svelare il grande segreto…
Andate a dire ai quattro venti che la notte passa, che tutto ha un senso, che le guerre finiscono, che la storia ha uno sbocco, che l’amore alla fine vincerà l’oblio, e la vita sconfiggerà la morte.
Voi che l’avete intuito per grazia, continuate il cammino, spargete la vostra gioia, continuate a dire che la speranza non ha confini.” (David Maria Turoldo).
*Arcivescovo di Cosenza