«Intorno allo Stretto 6mila scosse in 40 anni, le faglie attive ci sono eccome»: Doglioni (ex Ingv) riaccende il dibattito sul Ponte
L’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia mostra gli studi che provano l’esistenza di fratture capaci di generare terremoti: «Sono censite nella banca dati dello Stato. Nei 3 km tra Calabria e Sicilia spostamenti simili a quelli tra i 100 km che separano Tirreno e Adriatico»
«Le faglie attive non possono non esserci». Mentre Carlo Doglioni, ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologi, pronuncia la frase, alle sue spalle c’è una slide che mostra una rosa di eventi sismici registrati nell’area dello Stretto: sembra un fiore blu che si schiude intorno a Villa San Giovanni. Il docente aggiunge un dettaglio: «Il catalogo Itaca (la banca dati pubblica curata da Ispra che individua le faglie attive, ndr) dà 6.174 eventi in 40 anni nell’area dello Stretto».
Ponte sullo Stretto, il procuratore di Messina parla di interessi delle mafie e Salvini si arrabbia: «Così non si scava neanche un tombino»«Il Ponte in una struttura che chiamiamo grave»
Doglioni ripete la parola «faglie» per sei volte in meno di due minuti nel video pubblicato su Facebook. D’altra parte il cattedratico partecipa all’incontro organizzato dall’associazione Invece del Ponte proprio per questo, cioè per rappresentare in maniera chiara che le faglie nello Stretto di Messina ci sono eccome e servono approfondimenti seri prima di lanciarsi in rassicurazioni definitive sulla sicurezza della mega opera.
Doglioni parla mentre lo schermo alle sue spalle proietta slide che lasciano poco spazio alle sicurezze di chi il Ponte lo vuole a ogni costo. Mostra «la traccia di questa linea sismica che viene giù dal Mar Tirreno, entra nello stretto di Messina e scende giù verso Sud. E la sezione ci fa vedere chiaramente che ci sono queste faglie rosse». In questo caso evidenzia «se sono attive o no lo possiamo discutere» però «il Ponte è posizionato in una struttura che noi chiamiamo grave».
Le faglie attive a Capo Peloro e Ganzirri
Ci sono poi «delle faglie che noi possiamo considerare attive, che sono una a nord di Capo Peloro, immediatamente a nord di Punta Ganzirri, e poi all'interno dello stretto di Messina». Doppia affermazione per ribadire il concetto: «Queste linee tratteggiate rosse sono delle faglie che noi consideriamo certamente attive e responsabili della formazione non solo di questo gradino appena a Nord verso Tirreno, ma anche della generazione dello stretto di Messina».
Doglioni ricorda uno studio completato qualche anno fa dall’Università di Catania. In quella pubblicazione «dei colleghi Barretta e Dali si è visto chiaramente che c'è una faglia importante che attraversa lo stretto di Messina». Una faglia «che è proprio disegnata: lo si vede anche dalla rottura del fondo mare che è tipica delle faglie attive: questa è l'interpretazione geologica». Repetita iuvant: «Quindi queste faglie ovviamente ci sono».
Con il terremoto del 1908 tsunami con onde di 10-13 metri
Non dà sponda alle sicurezze dei pro Ponte neanche la considerazione successiva: «Nel caso specifico del terremoto del 1908, questo generò anche uno tsunami con onde che arrivarono anche in certi punti – nella parte meridionale della Calabria e in Sicilia – anche a 10-13 metri di altezza: già a mezzo metro di altezza uno tsunami è in grado di dare danni serissimi a una città».
Si sposta più lo Stretto che tutta l’area tra Tirreno e L’Aquila
Sul versante calabrese Doglioni si concentra sulla «famosa faglia del Cannitello»: anche quella «è mappata tra le faglie attive e capaci nella banca dati dell’Ispra». È la banca dati dello Stato a certificarlo. Il prof cerca di essere il più didascalico possibile: «Capace (riferito alla faglia, ndr) significa che sarebbe in grado di rompere la superficie morfologica». Altra questione: i movimenti nello Stretto possono essere misurati con grande precisione e «ci dicono che nello Stretto c’è un’area di separazione tra monti Peloritani e Aspromonte». Il tema è molto tecnico ma basta un paragone per renderlo chiaro: «I monitoraggi permettono di vedere che nello Stretto di Messina c’è un’apertura di circa 3 millimetri all’anno. Per la sezione che va dal Tirreno fino a L’Aquila e copre oltre 100 chilometri di distanza, ci sono 4 millimetri di apertura all’anno; qui in 3 chilometri c’è un’apertura quasi pari a quella del Centro Italia, dove abbiamo avuto terremoti di magnitudo superiore a 6». Altro dato significativo della mobilità dell’area. Un’evidenza che arriva a pochi giorni da alcuni passaggi tecnici fondamentali: il Cipess deciderà tra qualche settimana sul futuro dell’opera da 13 miliardi di euro. Il dibattito (e le polemiche) non finiscono qui.