La gioia e poi la tragedia, il figlio dell’uomo investito da un treno a Praia: «Mio padre è stato un dono»
I due si erano ritrovati pochi mesi fa, dopo anni di silenzi. Il 28enne Giuseppe Emanuele Lagatta sarà ordinato sacerdote l’8 maggio. Sul papà scomparso: «Ora so che lui è finalmente felice»
Il 28enne Giuseppe Emanuele Lagatta, per tutti don Giuseppe, il prossimo 8 maggio sarà ordinato sacerdote dal vescovo Stefano Rega, che guida la diocesi San Marco Argentano - Scalea. Sarà una gioia per tutta Praia a Mare, la cittadina che gli ha dato i natali, e per tutti coloro che gli vogliono bene. L'ordinazione segnerà l'inizio di una nuova vita, nella speranza che possa lenire, in qualche modo, il dolore degli ultimi tempi.
Don Giuseppe, già ordinato diacono un anno fa, è il figlio di Raffaele Lagatta, l'uomo tristemente divenuto noto alle cronache per essere morto tragicamente la sera dell'8 aprile scorso. Mentre camminava sui binari della linea ferroviaria all'altezza di Praia, probabilmente nel tentativo di attraversare il paese, è stato investito e ucciso da un treno in transito. La vittima e suoi figlio, protagonisti di una storia commovente, si erano riavvicinati soltanto pochi mesi fa.
La tragedia
Sono le 21.35 della sera dell'8 aprile 2025. Un uomo cammina incerto sui binari della linea ferroviaria all'altezza di Praia a Mare. Attorno è tutto buio. D'un tratto, un treno proveniente da Paola arriva a gran velocità. La macchinista alla guida del convoglio vede una sagoma, suona all'impazzata, rallenta la corsa, ma di lì a pochi istanti si consuma la tragedia.
La vittima è Raffale Lagatta, 53 anni ancora da compiere, un uomo con una storia drammatica alle spalle, che in paese conoscevano tutti. La notizia fa il giro del circondario in una manciata di minuti e i suoi concittadini non si danno pace. Raffaele aveva avuto un'esistenza sfortunata, ma non aveva mai fatto del male a nessuno. Andava in giro a chiedere qualche spiccio e si accontentava anche di una sigaretta o di qualcosa di buono da mangiare. Era affetto da problemi psichici e proprio per questo era caduto vittima di quei vizi balordi che ti dilaniano l'anima.
Sarà ora la procura di Paola, che ha aperto un'inchiesta e disposto l'esame autoptico sulla salma, a stabilire le dinamiche dell'incidente e capire se, eventualmente, la tragica sorte poteva essere in qualche modo evitata. I funerali sono stati celebrati mercoledì 16 aprile nella chiesa madre Sacro Cuore di Gesù, la stessa che Raffaele aveva visto milioni di volte, passeggiando avanti e indietro, per anni, sul vialone alberato della Libertà.
Una storia di coraggio e resilienza
La vita costellata di disagi, non aveva però impedito a Raffaele Lagatta di diventare padre, la prima volta 28 anni fa. Dall'unione con la compagna di allora nacque il piccolo Giuseppe Emanuele, un bimbo con occhi e capelli neri, destinato a sopportare il peso delle fragilità umane sin da subito.
Giuseppe viene cresciuto amorevolmente da una nuova famiglia, che lo adotta formalmente e che gli dà tutto l'affetto e le cure di cui ha bisogno. Insieme alla famiglia materna, agli zii, che non lo abbandonano mai, lo sostengono dandogli forza e coraggio, anche quando decide di sottoporsi all'operazione dell'impianto cocleare, che gli restituisce l'udito e la spensieratezza dei suoi pochi anni.
Giuseppe cresce, si innamora di Dio, trova conforto nella fede. Studia, poi entra in seminario per rincorrere la sua felicità. Nel giugno del 2024 viene ordinato diacono. Il suo cuore è colmo di gioia, anche se sopporta il peso di certe assenze. Passano ancora pochi mesi e il giovane, ormai don Giuseppe, decide che è ora di fare i conti con il passato. Si riavvicina al papà biologico e nell'anima qualcosa si aggiusta. I pezzi del puzzle si rimettono a posto. Bastano poche parole e don Giuseppe comprende che se l'uomo che l'ha messo al mondo non gli è stato vicino come avrebbe dovuto, se non è stato in grado di crescerlo, non lo ha fatto per mancanza di amore.
Tutt'altro. Raffaele, come ogni genitore, voleva molto bene a suo figlio e ne era orgoglioso, ma la sua mente era stata da sempre il suo peggior nemico e non c'era stato nessun farmaco capace di disinnescare le torture. Anche se don Giuseppe ama incondizionatamente la famiglia che l'ha cresciuto e che lo ha fatto sentire un figlio amato, prova a riallacciare i rapporti con lui. I due si ritrovano, possono finalmente parlarsi guardandosi in faccia. Tanto basta a don Giuseppe per liberarsi del peso dell'angoscia e perdonargli ogni cosa, spazzare via il passato e fare spazio al presente. Lo deve a sé stesso e alla fede in Dio, che gli ha insegnato a essere misericordioso e a mettersi nei panni degli altri, anche in quelli di suo padre.
Ma la ritrovata serenità, dura troppo poco e viene interrotta bruscamente dalla tragedia. «Mi sono sentito stordito, confuso - ci dice Giuseppe, raggiunto al telefono dalla nostra redazione -, per il dispiacere e per tutta quella attenzione».
«Mio padre? Un dono di Dio»
Nei giorni successivi, Giuseppe guarda le foto del padre, torna indietro con la mente. «Ma al passato - ci dice ancora - io non voglio pensarci, per me quel passato non esiste più». Gli chiediamo se possiamo raccontare la sua storia e quella di suo padre, accertandoci di non toccare corde troppo intime e dolorose. «Assolutamente sì, non è mica un segreto che lui fosse mio padre biologico. Anzi, nonostante tutto, credo che lui sia stato un dono di Dio. Sono nato grazie a lui». La totale assenza di rabbia o di giudizio nelle sue parole, è disarmante.
Ma la sua morte, seppur tragica, gli ha lasciato sentimenti contrastanti. In un certo senso, don Giuseppe si sente sollevato di sapere che le pene terrene di suo padre siano terminate: «Io so che adesso, nel posto in cui si trova, sta bene. Si è tolto un peso dalle spalle, che io non so come abbia fatto a sopportare».
L'ordinazione sacerdotale
La fede di don Giuseppe è incrollabile e traccia la sua via. Dopo questi giorni difficili, si prepara a realizzare il suo sogno, circondato dai suoi affetti più cari, da coloro che hanno riscritto per lui un destino che sembrava già segnato. L'8 maggio, esattamente un mese dopo la tragedia, monsignor Stefano Rega sancirà il matrimonio tra lui e la Chiesa e comincerà un'altra vita, l'ennesima, nonostante la sua giovane età. «Voglio guardare a quel giorno con serenità. Le tragedie fanno parte della vita e dobbiamo accettarle. Oltretutto, ora so che lui può essere finalmente felice».
Buona rinascita, don Giuseppe.