La scuola media dimenticata: una crisi silenziosa nel cuore del sistema educativo italiano
Tra disinteresse politico e disagio giovanile, la scuola secondaria di primo grado vive un declino invisibile ma profondo. Riformarla non è un'opzione, è una necessità per il futuro del Paese
In Italia esiste una scuola di cui si parla pochissimo, quasi mai nei grandi dibattiti sull’istruzione. Non è l’università, troppo importante per essere ignorata, né la scuola primaria, spesso considerata l’unico modello virtuoso del nostro sistema. È la scuola media inferiore, il ponte fragile tra infanzia e adolescenza, tra apprendimento di base e scelte per il futuro. Un ponte che rischia ogni giorno di crollare nell’indifferenza generale.
La scuola media – formalmente “secondaria di primo grado” – è oggi uno dei punti più critici e trascurati del nostro sistema educativo. Nessuno sembra volerlo ammettere, ma i segnali del collasso ci sono tutti: abbandoni scolastici, classi sovraffollate, programmi obsoleti, disagio psicologico crescente tra studenti, demotivazione dei docenti e un progressivo svuotamento della funzione educativa. Un’intera generazione rischia di attraversare questi tre anni decisivi in modo passivo, traumatico o, peggio ancora, invisibile.
Secondo i dati Eurostat, l’Italia ha uno dei tassi di dispersione scolastica più alti d’Europa. Una fetta significativa degli studenti lascia la scuola o resta intrappolata in una condizione di disimpegno già durante il triennio della media inferiore. Questo è il momento in cui si forma (o si disgrega) la motivazione allo studio, la fiducia in sé stessi, la capacità di stare in gruppo e affrontare le sfide. Se questa fase fallisce, le conseguenze si trascinano per tutta la vita.
Il dato più allarmante è che la dispersione non è solo fisica – studenti che smettono di frequentare – ma anche “implicita”: si resta in aula senza apprendere, senza capire, senza essere seguiti.
Molti insegnanti delle scuole medie sono precari, mal pagati, scarsamente formati per affrontare una fase educativa tanto delicata. Non si tratta solo di trasmettere contenuti: nella scuola media si entra in contatto con un’età critica, segnata da forti trasformazioni cognitive, emotive e relazionali. Eppure, la preparazione degli insegnanti non è pensata per gestire tutto questo. Troppo spesso si improvvisa, si sopravvive.
Alcuni docenti, dopo anni di supplenze, scelgono di cambiare mestiere. Altri ottengono il ruolo ma restano schiacciati da una burocrazia asfissiante, da carichi di lavoro impropri, da una percezione sociale che li considera poco più che “babysitter dei tredicenni”. È una professione logorante, e nessuno sembra volerla rivalutare.
Anche l’ambiente fa la sua parte. Molte scuole medie italiane sono vecchie, maltenute, non a norma. Mancano laboratori, strumenti digitali, biblioteche aggiornate. I programmi di studio risalgono a decenni fa e non tengono conto delle nuove esigenze cognitive e culturali degli adolescenti. La didattica resta spesso frontale, nozionistica, lontana dalla vita reale dei ragazzi. La pandemia ha aggravato tutto: la digitalizzazione è arrivata tardi e male, e oggi la scuola media arranca nel tentativo di ricucire un tessuto relazionale e cognitivo gravemente danneggiato.
In un’età in cui il corpo cambia, le emozioni si amplificano e l’identità si cerca in mille specchi, la scuola dovrebbe essere un luogo di ascolto, di guida, di scoperta. Invece, per molti adolescenti, la scuola media è un luogo di fatica e ansia. Cresce il disagio psicologico, si moltiplicano i casi di ritiro sociale, si diffondono il bullismo, le difficoltà relazionali, la disconnessione emotiva. Le famiglie, spesso spaesate, vengono coinvolte solo quando c’è un problema conclamato. Non si costruisce alleanza, non si educa insieme. Si delega, si scarica, si colpevolizza.
La crisi della scuola media ha effetti profondi sul sistema scolastico nel suo complesso. In primo luogo, rende inefficace l’orientamento: molti studenti arrivano alla scuola superiore senza aver davvero capito chi sono e cosa vogliono fare. La scelta del liceo, dell’istituto tecnico o professionale è spesso casuale, guidata da pressioni familiari o convenienze logistiche. In secondo luogo, si assiste a un calo progressivo degli apprendimenti. I risultati delle prove INVALSI mostrano competenze in italiano e matematica inferiori alla media europea già al termine del primo ciclo. È un allarme che dovrebbe scuotere le fondamenta del sistema, e invece tutto tace.
La scuola media non ha lobby, non ha visibilità politica, non fa notizia. È una terra di mezzo, senza glamour né prestigio. Non è la culla dell’innocenza come la primaria, né la fucina dell’élite come il liceo. È la scuola della complessità e dell’incertezza, e come spesso accade in Italia, ciò che è complesso viene ignorato. Ma ignorare non significa risolvere. Ogni studente che si perde nella nebbia di questi anni è una sconfitta per la scuola pubblica. Ogni insegnante che se ne va, è un patrimonio umano disperso. Ogni edificio fatiscente, ogni classe affollata, ogni lezione non capita, sono ferite aperte nel corpo di una società che dice di voler investire sui giovani, ma poi li lascia soli proprio nel momento più difficile.
Serve una riforma profonda, strutturale e culturale. La scuola media è il cuore trascurato dell’istruzione italiana. È lì che si gioca gran parte del futuro dei nostri ragazzi, è lì che si forma o si inceppa l’ascensore sociale. Ma per salvarla occorre rompere il silenzio. Occorre parlarne, ascoltarne le grida mute, darle un volto, una dignità, una voce. La scuola media non può più essere la grande dimenticata. Perché dimenticare chi cresce è il modo più sicuro per costruire una società che invecchia senza futuro.