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04/10/2025 ore 23.00
Attualità

La televisione generalista perde pezzi: 1,3 mln di spettatori spariti in un anno, tg allo sbando con il pubblico fuggito verso altri lidi

Il Tg1 perde il 7,6%, il Tg5 crolla del 10,5%, mentre Tg2 e Studio Aperto segnano un disastro. Secondo l’analista Siliato i telegiornali sono “sbiaditi e latitanti”, incapaci di reggere la concorrenza dell’informazione digitale

di Luca Arnaù

La stagione televisiva 2025 parte con un bollettino da pronto soccorso. Lo Studio Frasi, elaborando i dati Auditel, ha certificato che tra il 14 e il 20 settembre le reti generaliste hanno perso il 7,7% nel giorno medio e il 7% in prima serata rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Tradotto in numeri: un milione e trecentomila italiani che un anno fa accendevano la tv, ora hanno spento o cambiato canale. Una fuga silenziosa, ma devastante.

A pagare il prezzo più alto non sono solo le fiction fiacche o i varietà pieni di polvere. Il vero schianto riguarda i telegiornali, il cuore identitario della televisione pubblica e privata. Quei notiziari che per decenni hanno scandito l’agenda del Paese oggi sembrano reliquie di un’epoca che non esiste più. E il pubblico, semplicemente, li abbandona.

Il Tg1 resta il più visto, con 3,8 milioni di spettatori e il 23,4% di share. Ma il dato che conta è un altro: ha perso il 7,67% di audience rispetto allo scorso anno. Il Tg5 segue con 3,3 milioni di spettatori e il 20% di share, ma scivola giù del 10,59%. Male anche la Tgr regionale: 2,1 milioni di spettatori e -13,74%. Peggio ancora il Tg3, che si ferma a 1,5 milioni, con un crollo del 14,6%.

Nemmeno La7 si salva: 1,2 milioni di spettatori e un calo del 5,5%. Il Tg2 è un deserto: 825 mila spettatori appena e un disastroso -18,65%. Il Tg4 galleggia a 512 mila con -8,07%. E Studio Aperto, più che un telegiornale nazionale, ormai sembra un bollettino parrocchiale: 408 mila spettatori e un abisso del -20,03%.

Il bilancio è chiaro: otto telegiornali su otto hanno perso pubblico. Nessun superstite. Francesco Siliato, analista di Studio Frasi, fotografa la débâcle: «Un milione e seicentomila persone hanno seguito almeno un Tg nel settembre 2024 e non lo hanno fatto più nel settembre 2025. Non perché manchino guerre, crisi o tragedie: il mondo intorno è incandescente. Ma perché i Tg appaiono latitanti, superficiali, tutti uguali. Vecchi».

Il problema non è la quantità delle notizie, ma la qualità del racconto. Lo schema è lo stesso da decenni: titoli, servizi preconfezionati, collegamenti di routine. Mentre il mondo dell’informazione si è trasformato in un flusso continuo, i Tg restano fermi a un linguaggio ingessato. L’effetto è di straniamento: fuori esplodono guerre, rivolte, crisi economiche, dentro scorrono servizi che sembrano scritti con la carta carbone.

La conseguenza è inevitabile: la fiducia crolla, l’attenzione evapora. I giovani hanno già smesso di accendere il televisore. Ora a mancare sono anche i fedelissimi: le fasce più anziane, che per decenni hanno rappresentato lo zoccolo duro dell’audience, iniziano a disertare. Quando perfino le nonne smettono di guardare il Tg1, significa che il legame storico si è spezzato.

Eppure, fino a pochi anni fa, i telegiornali erano considerati l’ultimo fortino della televisione generalista. La fiction poteva fallire, i talent stancare, i talk annoiare. Ma i Tg reggevano. Oggi non più. La frana è strutturale, e difficilmente invertibile senza una rivoluzione radicale.

Il paradosso è che proprio nel momento in cui il mondo avrebbe più bisogno di un’informazione credibile e autorevole, i telegiornali italiani appaiono più spenti che mai. L’Ucraina, Gaza, la crisi economica, la politica interna: non mancano i temi. Manca la capacità di raccontarli. Troppo veloci, troppo generici, troppo simili l’uno all’altro. Non sorprende che il pubblico preferisca aggiornarsi su altre piattaforme, anche a costo di rischiare la giungla delle fake news.

Il sistema, insomma, non è solo in affanno: è sull’orlo della rottamazione. Non basta cambiare un direttore o rinfrescare una sigla. Il problema è più profondo: riguarda il linguaggio, il rapporto col pubblico, la credibilità. Senza un cambio di passo, i Tg rischiano di trasformarsi in un rito vuoto, seguito da pochi nostalgici.

Il 2025 si apre quindi con una fotografia impietosa: la televisione generalista ha perso centralità, i suoi telegiornali non fanno più opinione, e il pubblico italiano — sempre più connesso e disincantato — li considera un sottofondo inutile. Per rivedere la fiducia serviranno idee nuove, coraggio editoriale e forse un bagno di umiltà. Per ora resta solo il rosso profondo dei dati Auditel, che suonano come un epitaffio: gli italiani hanno cambiato canale, e non tornano indietro.