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12/03/2025 ore 06.15
Attualità

La (falsa) abolizione del numero chiuso a Medicina mina la qualità della formazione: sanità pubblica a rischio, ecco perché

Una delega in bianco che non risolve il problema, ma lo sposta e lo aggrava: il governo trasforma così questo annuncio in propaganda politica

di Luca Falbo

La Ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha annunciato con toni trionfali la tanto proclamata “abolizione del numero chiuso” per l’accesso a Medicina. Una mossa che, per molti, sembrerebbe un passo storico verso un sistema più equo. Ma la realtà è ben diversa. La legge approvata è una delega in bianco al governo, priva di numeri, con criteri non adeguati ad una programmazione seria.

Nessuna reale abolizione, solo un rinvio della selezione alla fine del primo semestre del primo anno, senza indicazioni concrete su risorse, strutture, personale.

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Dal test al semestre-filtro: cambiano i tempi, non la sostanza

La riforma Bernini non elimina la selezione: la posticipa. Si passa da un test d’ingresso nazionale ad un semestre intensivo con valutazioni intermedie e una prova finale che determinerà l’ammissione al secondo anno. In pratica, la competizione si sposta avanti di pochi mesi, lasciando invariata la logica del numero chiuso. Non solo: affidare il destino degli studenti a valutazioni parziali, in contesti spesso eterogenei e con regole non uniformi, rischia di aumentare le disparità tra gli atenei e incentivare pratiche poco trasparenti. Il rischio di favoritismi e discrezionalità è concreto. Il governo ha scelto la via della propaganda facile, ignorando ogni proposta di merito.

La retorica “apriamo le porte della facoltà di medicina” cela il pericolo di un collasso del sistema formativo, senza aver affrontato il vero nodo: la qualità e la sostenibilità della formazione.

Specializzazioni al collasso, giovani medici in fuga: la realtà dietro i numeri

Il paradosso è evidente: aumentano i posti nelle facoltà di Medicina (da 10.000 nel 2012 a oltre 25.000 previsti), ma il sistema non regge. Mancano tutor, aule, laboratori, tirocini. Le borse di specializzazione sono insufficienti e mal distribuite. Le scuole di specializzazione denunciano croniche carenze di strutture e personale.

La conseguenza? Giovani medici formati a caro prezzo per le casse dello Stato (tra i 150.000 e i 200.000 euro per ognuno), fuggono all’estero o si riversano nel settore privato, aggravando la crisi del Servizio Sanitario Nazionale oltre a causare un grave danno erariale. Il fenomeno della “fuga dei camici bianchi” non si risolve aumentando i numeri degli iscritti, ma investendo in formazione di qualità e condizioni di lavoro dignitose. E ricordiamo che per lavorare in ospedale bisogna essere specialisti, e se non si agisce sul post-laurea, dove davvero c’è una carenza in specifiche branche, il futuro del nostro Sistema Sanitario Nazionale pubblico è seriamente a rischio.

Una sanità pubblica sotto scacco: il colpo di grazia alla salute dei cittadini

Senza una seria pianificazione, questa falsa abolizione del numero chiuso rischia di essere il colpo di grazia per la sanità pubblica italiana. Si sprecano risorse pubbliche per formare medici che non troveranno sbocchi nel SSN o che sceglieranno di emigrare. Si abbassa la qualità della formazione, si penalizzano i pazienti.

La sanità ha bisogno di specialisti preparati, non di slogan. Ha bisogno di un sistema universitario in grado di garantire standard formativi elevati, non di facoltà sovraffollate e percorsi selettivi mascherati. La riforma approvata non rappresenta una svolta, ma un passo falso. Anziché affrontare le vere emergenze della formazione medica e del Servizio Sanitario Nazionale, il governo ha scelto la via più semplice: rinviare i problemi, illudere i cittadini e alimentare un clima di false aspettative. Il prezzo di questa scelta lo pagheranno gli studenti, i futuri medici e, soprattutto, i cittadini italiani. La sanità pubblica merita rispetto, investimenti e scelte coraggiose. Non propaganda