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10/09/2025 ore 07.01
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L’alba assassina del 10 settembre 2000 a Soverato: «Mia madre morta per salvare la persona che assisteva»

Il camping nel greto del torrente, la manutenzione assente e il ricordo di chi ha perso i propri cari. La testimonianza in una puntata di LaC Dossier: «In obitorio l’ho riconosciuta dalla caviglia»

di Redazione Attualità

È l'alba del 10 settembre del 2000. Su Soverato piove ininterrottamente da ore. La pioggia incessante, il torrente in piena, il camping travolto da un'onda improvvisa e assassina.

La storia della più grande tragedia vissuta dal sud Italia dopo l'ecatombe di Sarno inizia così. Finirà con 13 morti: Ida Fabiano, Serafina Fabiano, Mario Boccalone, Raffaele Gabriele, Paola Lanfranco, Iolanda Mancuso, Giuseppina Marsico, Franca Morelli, Rosario Russo, Antonio Sicilia, Salvatore Simone, Concetta Zinzi e Vinicio Caliò, quest’ultimo custode del camping. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Il lato giudiziario di quella tragedia si è concluso con tre condanne su cui la Cassazione ha posto il proprio sigillo definitivo: pene troppo lievi, per i familiari delle vittime le cui vite sono terminate in un campeggio che non avrebbe dovuto essere lì, nel greto del torrente Beltrame trasformato in un fiume in piena. La giustizia fa il suo corso, le storie e il loro dolore restano.

Simona Miriello a LaC Dossier[Missing Credit]

LaC Dossier ha raccontato quella di Simona Miriello, figlia di Franca Morelli. A 25 anni dalla tragedia vi riproponiamo quella testimonianza.

Franca era una volontaria dell’Unitalsi da parecchi anni: «La sera dovevamo andarla a prendere, però lei ha voluto fino alla fine stare con la sua malata, con la persona che assisteva. Lei le aveva chiesto di lasciarla stare perché era stanca della vita, però mia mamma ha deciso di salvarla e purtroppo per lei non è stato lo stesso, non è riuscita a salvarsi».

Tende, caravan e roulotte sono assembrati sul greto del Beltrame. È un fosso arido d'estate che sfocia a poche centinaia di metri verso est nello Ionio. Quel 10 settembre, in pochi minuti, l’acqua e i detriti travolgono disabili, ammalati e i volontari dell'Unitalsi. Si chiamano tecnicamente celle convettive: si possono verificare in alcuni periodi dell'anno e fanno sì che su un territorio limitato cadano delle quantità di precipitazioni che sono assolutamente fuori dal normale. Quando accade anche un rivolo d'acqua può diventare un fiume in piena.

«Pioveva già da giorni – dice ancora Miriello a LaC Dossier –, il giorno prima io ho ricevuto una telefonata, il destino ha voluto che io avessi la casa allagata quel giorno, mia madre mi ha detto che anche lì il tempo stava facendo dei danni, però la sera ci sarebbe stata la festa, mi aveva chiesto di andare perché lei avrebbe parlato durante la festa e purtroppo io non ci sono potuta andare. Il giorno dopo ho appreso la notizia da mio marito, lui era convinto che mia mamma fosse in un altro campeggio e mi ha detto “Simona stai tranquilla perché la tragedia è avvenuta al camping delle Giare”, perché lui pensava che mia mamma fosse al Glauco».

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Anche i dubbi sui soccorsi sono un ricordo doloroso. Nelle immagini dell’epoca la Protezione civile nazionale denuncia di essere stata avvertita in ritardo mentre risuona in sottofondo la domanda chiave: quel camping poteva stare lì? È una delle questioni che vengono sottolineate dagli investigatori. L’altra è la cattiva manutenzione del corso d'acqua: tutti i residui, le erbacce, i tronchi di albero si frappongono al deflusso all'altezza di un ponte creando un tappo, una diga. Quando il peso dell'acqua diventa preponderante, quel tappo scoppia come una bomba e travolge tutto quello che c'è a valle, anche le persone che stavano alloggiando nel camping quella notte.

Per Miriello e per tutti coloro che hanno perso qualcuno in quell’alba tragica conta purtroppo soltanto il risultato finale di anni di incuria: «Io, la mia mamma l'ho vista il giorno dopo all'obitorio, ho scoperto che era lei perché praticamente tutti i corpi erano coperti, ma a lei usciva il piede di fuori, aveva un problema alla caviglia e io l'ho riconosciuta dal piede: quando ci hanno fatto entrare per riconoscere i corpi, io sono andata direttamente su quella lettiga».

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Un’onda assassina aiutata dall’uomo e la vita che cambia per sempre con i suoi progetti e i sogni spezzati: «Mia mamma sognava di abitare in una villetta – racconta Miriello –. Io in tutti questi anni sognavo mia mamma dentro una villetta piena di rose. C’ero anch’io in questo sogno e raccoglievo una rosa. Questa rosa mi cadeva ai suoi piedi. Lei era sempre con una tunica bianca. Io raccoglievo la rosa per dargliela e il fiore ricadeva. Questo sogno l’ho fatto spesso».

Poi Simona Miriello trova una casa «e, appena entrata, ho avvertito un profumo identico a quello che usava mia madre. Quando sono andata in giardino c'era l'albero delle rose. E io d’istinto ne ho preso una e mi è caduta a terra, come nel sogno. Ho pensato che fosse un segno del destino, che io dovessi acquistare questa casa. Costava molto più del risarcimento che ci hanno dato. Però ho voluto comprarla lo stesso perché secondo me quel giorno, quando sono entrata qui per la prima volta, mia mamma era presente».