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23/05/2025 ore 17.48
Attualità

Castrizio smonta l’ipotesi siracusana: «I Bronzi di Riace? Restaurati in Sicilia, ma forgiati ad Argo»

Ospite della trasmissione di LaC Dentro la Notizia condotta da Francesca Lagoteta il professore rilancia prove scientifiche e denuncia una gestione ministeriale che esclude gli studiosi: «Sono patrimonio calabrese e universale, ma si tenta di riscriverne la storia senza rigore»

di Silvio Cacciatore

Tornano sotto i riflettori i Bronzi di Riace, non solo per la loro straordinaria bellezza, ma per una disputa scientifica che, a distanza di cinquant’anni dal ritrovamento, continua a dividere il mondo dell’archeologia. Se ne è parlato durante l'ultima puntata di "Dentro la Notizia", condotto da Francesca Lagoteta. Collegato in diretta - nonostante la pioggia - da Piazza de Nava a Reggio Calabria ai microfoni del giornalista Silvio Cacciatore il noto ricercatore, archeologo e docente universitario Daniele Castrizio.

Negli ultimi mesi, si è fatta sempre più insistente l’ipotesi che le due statue siano di origine siracusana. Una teoria rilanciata da alcuni ambienti accademici siciliani, che tuttavia non convince chi da decenni studia i Bronzi a fondo, come il professore Daniele Castrizio, che da anni dedica il suo lavoro a decifrare i segreti di questi capolavori e a valorizzarne l'identità più autentica.

Secondo Castrizio, le statue furono realizzate ad Argo, nel Peloponneso, con tecniche di fusione compatibili con la tradizione scultorea greca del V secolo a.C., per poi giungere a Roma e infine naufragare lungo le coste calabresi. Le due statue sarebbero frutto del lavoro di Pitagora da Reggio e costruite nella città di Argo, come testimoniato dalla natura della terra contenuta al loro interno. L'ipotesi siracusana nasce proprio dall’analisi di quella terra, ma - precisa Castrizio - si tratta del materiale ritrovato nel braccio di uno dei due bronzi, braccio che non è originale e sarebbe stato saldato in epoca romana. «A Siracusa - spiega - possono averli riparati, ma non costruiti».

Durante la trasmissione "Dentro la Notizia", Castrizio ha chiarito ulteriormente: «Se davvero la terra analizzata provenisse da Siracusa, significherebbe che lì furono riparati, non che lì furono realizzati. Quella terra si trova nel braccio destro del Bronzo B, che è di epoca romana. Per questo motivo, sarebbe importante approfondire con nuove indagini scientifiche proprio su quelle terre». E ancora: «Ci sono concrezioni di ciottoli fluviali sui Bronzi che risultano compatibili con l’area di Riace, non certo con quella di Brucoli, dove si è ipotizzato un ritrovamento alternativo. Questa teoria non sta in piedi scientificamente». Aggiunge poi che alcune ricostruzioni fotografiche a sostegno della tesi siracusana sono risultate dei fotomontaggi, smentiti con documentazione originale e riscontri visivi: «La foto che ritrae il ritrovamento a Brucoli è un falso. La nave sullo sfondo è stata inserita artificialmente e la figura del bronzo è copiata da una foto autentica del ritrovamento a Riace. Una falsificazione che ha avuto purtroppo ampia eco sui media».

A sostegno della sua ricostruzione, anche un ritrovamento sorprendente: una statuina in bronzo, alta circa 30 centimetri, rinvenuta nel 1916 nel Tevere e oggi custodita al Wadsworth Atheneum Museum of Art, in Connecticut. Una copia antica del cosiddetto Bronzo A, rappresentato con l’elmo, ed una scoperta del professor Castrizio, che ilReggino.it e LaC News 24 hanno raccontato lo scorso ottobre in esclusiva al mondo intero.

Castrizio ne ha ricostruito la storia e l’ha identificata come una preziosa conferma della diffusione e della notorietà del gruppo statuario già in epoca imperiale. A differenza delle polemiche che si rincorrono a colpi di dichiarazioni e social, questo dato aggiunge un tassello concreto alla ricerca: la copia dimostra che le statue non solo erano conosciute, ma venivano replicate, studiate, conservate. Secondo lo studioso, questa consapevolezza dovrebbe incoraggiare una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e dei media, soprattutto quelli calabresi, affinché la narrazione pubblica non venga monopolizzata da teorie infondate o da logiche spettacolarizzanti.

Il professore ha anche aggiunto che grazie a recenti pressioni internazionali, è stato avviato il restauro di una statua conservata nei magazzini del museo di Argo, compatibile con il personaggio di Tiresia: «Potrebbe trattarsi del terzo bronzo. Era con certezza esposto ad Argo, insieme agli altri due. Finalmente potremo vederlo restaurato grazie anche all’intervento del governo greco». Questo progetto potrebbe riscrivere parte della storia del gruppo statuario, contribuendo a chiarire definitivamente la composizione e la destinazione originaria delle statue.

Ma Castrizio non nasconde il proprio disappunto verso una gestione ministeriale che, a suo dire, avrebbe escluso gli accademici dal dibattito pubblico sui Bronzi: «In questo momento siamo nel punto più basso dell'archeologia pubblica. La narrazione viene affidata solo alla burocrazia, mentre la ricerca scientifica viene ignorata. I vertici ministeriali sembrano voler dire che sui Bronzi non si sa nulla. Ma non è così. In 53 anni, i più grandi archeologi italiani hanno studiato queste statue. Non si può cancellare tutto». Una denuncia netta, che punta il dito contro una visione centralista e autoreferenziale della cultura, che toglie voce a chi ha dedicato la vita alla ricerca.

La questione resta aperta, ma al centro rimane una verità semplice: i Bronzi di Riace non smettono di interrogare, di appassionare e, soprattutto, di appartenere profondamente alla Calabria. E più di ogni altro luogo, a Reggio Calabria, dove la luce dello Stretto li avvolge ogni giorno, tra il blu intenso del mare, l’abbraccio dell’Aspromonte, il bianco dei marmi e delle pietre di Palazzo Piacentini e di Piazza De Nava e la bellezza vibrante di una città che, nei Bronzi, ha trovato un riflesso eterno della propria anima. Un’anima che si nutre di memoria, identità e ricerca, e che continua a chiedere rispetto e attenzione per uno dei tesori più affascinanti del patrimonio culturale mondiale.

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