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13/09/2025 ore 17.52
Attualità

Le radici del conflitto arabo-israeliano: dal caso Dreyfus all'escalation di violenza a Gaza

La rivolta araba del ’36, la nascita di Israele, la Nakba palestinese e la guerra dei sei giorni: viaggio nelle tappe di un conflitto che attraversa la storia moderna

di Francesco Gallo
Bombe israeliane contro i grattacieli a Gaza City (Foto Ansa)

Questo articolo ripercorre le tappe fondamentali di una tragedia che dura da oltre un secolo, dalla nascita del sogno di uno stato ebraico all’incubo dell’occupazione e della violenza senza fine. Una storia di promesse tradite, occasioni mancate e speranze infrante, che ha segnato generazioni di israeliani e palestinesi. Ma anche una storia che ci riguarda tutti, perché la pace in Medio Oriente è la chiave per la stabilità globale.

Il primo seme: l’affare Dreyfus

Parigi, gennaio 1895. Il capitano di artiglieria Alfred Dreyfus viene spogliato dei suoi gradi, arrestato e condannato ai lavori forzati con l'accusa di spionaggio e alto tradimento. La notizia scuote l'opinione pubblica: un ufficiale francese ha venduto ai nemici tedeschi informazioni militari segrete. E Dreyfus è ebreo.

Georges Picquart, capo dei servizi segreti, sospetta che l'ex ufficiale sia vittima di un complotto antisemita. Avvia nuove indagini e chiede la revisione del processo, trovando il sostegno di intellettuali come Émile Zola. Il caso Dreyfus agita le coscienze in tutta Europa e divide la Francia tra innocentisti e colpevolisti. Alla fine, i giudici scoprono che Dreyfus era innocente. Viene graziato e riabilitato nell'esercito.

Ma la sua drammatica vicenda spinge il giornalista ebreo di Vienna Theodor Herzl a scrivere Lo Stato ebraico. Il padre del sionismo sostiene che gli ebrei non dovranno più disperdersi, né integrarsi. L'infinita diaspora e le persecuzioni devono cessare. La soluzione è un ritorno alle radici, in Palestina. La terra promessa dove costruire una nuova patria, attraverso un clamoroso esodo di massa. Un «popolo senza terra» avrebbe fatto fiorire «una terra senza popolo».

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Lawrence d’Arabia e la Dichiarazione Balfour

La Prima guerra mondiale apre un nuovo fronte in Medio Oriente. Gli inglesi organizzano un corpo di spedizione per conquistare lo stretto dei Dardanelli, ma i turchi li bloccano per mesi, infliggendo pesanti perdite, fino a costringerli alla ritirata nel 1916. Al comando degli ottomani si distingue un giovane generale: Mustafa Kemal Atatürk.

Gli inglesi riprendono le operazioni appoggiando la rivolta araba contro l’Impero ottomano, facendogli credere di assecondare la nascita di un grande Stato arabo indipendente.

L’esercito arabo è coadiuvato dal mitico Lawrence d’Arabia. Quest’ultimo aiuta a formare un’armata di 50.000 uomini che combattono efficacemente i turchi al fianco dei britannici.

Nel luglio 1917 gli arabi occupano il porto di Aqaba, mentre gli inglesi conquistano Gerusalemme a dicembre.

Proprio in quei giorni, con la Dichiarazione Balfour, il Regno Unito si impegna a mette a disposizione del movimento sionista dei territori in Palestina per costituire un focolare nazionale ebraico, in caso di vittoria. Parte del merito è di Chaim Weizmann, futuro primo presidente d'Israele, che riesce a convincere il ministro Balfour della necessità di una patria per gli ebrei.

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I mandati e la rivolta araba del 1936

Dopo la guerra, con il crollo dell’Impero Ottomano, gli inglesi acquisiscono diversi territori in Medio Oriente, tra cui la Palestina, da amministrare tramite Mandati della Società delle Nazioni. Sotto il controllo britannico, l’immigrazione ebraica nella regione subisce una forte accelerazione, portando a scontri con la maggioranza araba per le limitate risorse.

Le tensioni sfociano nella Grande rivolta araba del 1936. La violenza si riduce solo dopo la riunione della Commissione Peel che nel 1937 propone la spartizione della Palestina tra ebrei e arabi. Ma il piano viene respinto a causa della scarsità di territorio coltivabile, rilanciando i dissidi.

L’ascesa del nazismo e le leggi razziali

Intanto in Europa monta l’ondata di antisemitismo, alimentata dall’ascesa al potere di Adolf Hitler in Germania nel 1933. I nazisti emanano una serie di leggi razziali che privano progressivamente gli ebrei dei diritti civili e politici, escludendoli dalle professioni, dall'istruzione e dalla vita pubblica.

La “soluzione finale” pianificata da Hitler per sterminare gli ebrei si concretizza con l’invasione della Polonia nel 1939 e lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Sei milioni di ebrei vengono uccisi nell’Olocausto, mentre altri fuggono in Palestina o in altri paesi. La tragedia della Shoah rafforza il desiderio di uno stato ebraico come rifugio sicuro.

La nascita di Israele e la Nakba palestinese

Nel 1947, con la fine del Mandato britannico, la questione palestinese passa all’ONU. L’Assemblea generale approva la Risoluzione 181 che prevede la creazione di due Stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Il piano viene respinto dagli arabi e accettato dagli ebrei.

Il 14 maggio 1948 viene proclamata la nascita dello Stato d’Israele, subito riconosciuto da USA e URSS. Per i palestinesi, il 1948 segna l’inizio della Nakba, la "catastrofe". Circa 750.000 palestinesi, più della metà della popolazione araba prebellica, vengono espulsi o fuggono dalle loro case. Molti non potranno più tornare, altri finiranno nei campi profughi nei paesi confinanti.

Gli arabi insorgono e la neonata Lega Araba (Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano) invade Israele. È l'inizio della prima guerra arabo-israeliana. Nonostante l’inferiorità numerica, le forze di difesa israeliane respingono gli invasori e occupano territori originariamente assegnati ai palestinesi, tra cui Gerusalemme ovest.

Nel 1949 l’ONU media il cessate il fuoco, riconoscendo i nuovi confini di Israele. Inizia un ventennio di stallo, interrotto solo dalla crisi di Suez del 1956 in cui Israele si allea con Francia e Regno Unito per attaccare l’Egitto che aveva nazionalizzato il Canale.

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1967: la Guerra dei Sei Giorni

Nel giugno 1967 la tensione tra Israele e i vicini arabi, in particolare Egitto e Siria, raggiunge il culmine. Il presidente egiziano Nasser chiude il traffico marittimo israeliano e schiera l’esercito nel Sinai, mentre Siria e Giordania ammassano truppe ai confini. Il 5 giugno Israele sferra un attacco preventivo, distruggendo al suolo gran parte dell’aviazione egiziana. In soli sei giorni, occupa la Penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est e le alture siriane del Golan. È una vittoria schiacciante che triplica i territori sotto il controllo israeliano.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU adotta la risoluzione 242 che chiede il ritiro di Israele dai territori occupati in cambio del riconoscimento del diritto di tutti gli Stati della regione a vivere in pace entro confini sicuri. Ma Israele rifiuta di cedere i territori, considerandoli essenziali per la propria sicurezza.

Lo Yom Kippur e l’inizio del processo di pace

Nell’ottobre 1973, nel giorno dello Yom Kippur (la festività ebraica dell’espiazione), Egitto e Siria attaccano a sorpresa Israele per riconquistare i territori perduti nel ‘67. Inizialmente gli arabi avanzano nel Sinai e sul Golan, ma Israele riesce a respingerli e a contrattaccare, raggiungendo il cessate il fuoco dopo tre settimane di aspri combattimenti.

La guerra dello Yom Kippur segna una svolta. Nel 1978 il presidente egiziano Sadat e il premier israeliano Begin firmano gli Accordi di Camp David, mediati dal presidente americano Carter. L’Egitto riconosce Israele e ne ottiene in cambio la restituzione del Sinai. È il primo accordo di pace tra Israele e un paese arabo.

Ma la questione palestinese rimane irrisolta. Aumentano le tensioni nei Territori Occupati, con la crescita di gruppi estremisti come Hamas tra i palestinesi e dei coloni tra gli israeliani. Nel dicembre 1987 scoppia la prima Intifada, la rivolta delle pietre dei giovani palestinesi contro l’occupazione.

Gli Accordi di Oslo e la Seconda Intifada

Nel 1993 israeliani e palestinesi, rappresentati rispettivamente dal premier Rabin e dal leader dell’OLP Arafat, firmano gli storici Accordi di Oslo che prevedono il graduale ritiro israeliano da Gaza e parte della Cisgiordania e la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese come embrione di un futuro stato.

Ma il processo di pace subisce una battuta d’arresto con l’assassinio di Rabin nel 1995 da parte di un estremista ebraico. Nel 2000 il fallimento del vertice di Camp David tra Arafat e Barak e la provocatoria “passeggiata” di Sharon sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme innescano la Seconda Intifada.

Attentati suicidi palestinesi e rappresaglie israeliane insanguinano di nuovo la regione. Israele costruisce un muro di separazione in Cisgiordania e si ritira unilateralmente da Gaza nel 2005, ma vi mantiene il blocco. Nel 2006 Hamas vince le elezioni nei Territori Palestinesi, disgregando il fronte interno.

Da Gaza all’escalation di violenza

Negli anni successivi Israele, guidato dal premier Netanyahu, sabota gli accordi di pace, espandendo le colonie ebraiche in Cisgiordania fino a oltre 600mila abitanti. Appoggia Hamas per colpire l’ANP di Abu Mazen, porta avanti accordi separati con alcuni stati arabi (gli Accordi di Abramo con Emirati e Bahrein) e impone misure sempre più punitive ai palestinesi, come il controverso “piano Trump” che vorrebbe annettere ampie porzioni della Cisgiordania.

Ma la polveriera è Gaza, dove due milioni di palestinesi vivono in condizioni disperate sotto il ferreo controllo di Hamas. Periodiche escalation tra razzi di Hamas e raid aerei israeliani causano centinaia di vittime, in maggioranza civili palestinesi. Lo stillicidio di violenze raggiunge l’apice il 7 ottobre 2023, quando Hamas lancia un attacco senza precedenti contro obiettivi civili e militari israeliani, facendo quasi 1200 morti. Israele risponde con una durissima offensiva su Gaza che in due settimane provoca oltre 4000 vittime palestinesi, per lo più civili.

Una spirale di odio che sembra inarrestabile. Dopo 125 anni dal caso Dreyfus e 75 dalla Nakba palestinese, la pace in Terra Santa appare un miraggio sempre più lontano. Come scrisse profeticamente Gandhi, “occhio per occhio e il mondo diventerà cieco”.