Lettera al governatore che verrà: «La mia Calabria è ferita ma merita di rifiorire. Serve onestà, non propaganda»
Le parole di Antonella, originaria di Roccella ma a Roma per lavoro. Uno sguardo lucido e innamorato sulla sua terra tra criticità, abbandoni e potenzialità inespresse. Un appello alla politica perché scelga la cura come guida, restituendo dignità a questa terra
Chi è costretto a lasciare la propria terra spesso sviluppa una prospettiva più ampia e obiettiva sulla loro terra di origine, grazie alla distanza che consente di vedere sia i pregi che i difetti con maggiore chiarezza. Questa visione, da lontano, può far apprezzare meglio gli aspetti positivi, come le tradizioni, la cultura e il paesaggio, ma anche evidenziare le criticità e le sfide che magari, da vicino, erano meno evidenti. Mentre si avvicinano le elezioni regionali, in un momento delicato per il futuro della Calabria, una nostra lettrice, Antonella Multari, costretta ad andare a Roma, ma con il cuore ancora a casa, nella sua Roccella Ionica, invita a una riflessione, mettendo in luce problematiche da superare e prospettive di bellezza. Con la speranza che qualcosa possa cambiare, che il territorio possa fiorire, si rivolge a chi sarà il nuovo governatore.
La lettera
«Guardo la Calabria con gli occhi di chi ama più del necessario, e sento che qualcosa non va. Eppure, desidero che quel “qualcosa” possa cambiare, possa diventare promessa mantenuta.
Cammino con la memoria per strade che dovrebbero essere orgoglio, e invece mi parlano di trascuratezza, ritardi o vere e proprie carenze nei trasporti, ferite nell’ambiente che nessuno ripara davvero. Penso agli appalti pubblici, penso agli arresti per corruzione in sanità, gare turbate, milioni sottratti al bene comune. Non sono cifre astratte, sono il sangue lento che cola da strutture ospedaliere, scuole, presidi che non sono state fatte, che restano luoghi freddi quando dovrebbero accogliere speranza.
E la scuola… oh, la scuola! Dov’è la promessa di futuro, dov’è la fucina dei giovani che potrebbero restare? Ci sono errori materiali, decisionali, di trasparenza, immissioni in ruolo rifatte, sedi cambiate, ritardi che significano sacrificio. Spesso chi vive in paesi lontani, tra colline o in zone disagiate, sente la fatica di arrivare a scuola, la mancanza di trasporti, di strutture adeguate, la difficoltà di studiare quando il buio arriva presto, quando la luce è poca. Eppure la mente dei giovani è luminosa, come la luce fra le foglie di un ulivo al tramonto.
Il turismo, la cultura, potrebbero essere le ali della Calabria. E invece vedo intorno a me strutture ricettive spesso datate, un potenziale archeologico, naturalistico, vissuto troppo spesso come peso o come decorazione estetica, non come risorsa integrata. Paesi pieni di storia abbandonati, borghi che potrebbero offrire sentieri, storie, accoglienza, e invece lamentano sprechi o indifferenza.
Eppure, e qui il pensiero cambia tono, come se la luce filtrasse tra le nuvole, non tutto è peccato o smarrimento. Esistono uomini e donne che hanno reso questa terra grande, che ne hanno fatto vanto nel corpo e nello spirito. Penso a Tiberio Evoli, medico, che curava la malaria, che lottava con la povertà, che costruì un ospedale a Melito Porto Salvo; e penso a tutte le eccellenze della sanità calabrese che ancora oggi sono costrette a lavorare senza strutture e mezzi. Penso a Domenico Mauro, che da San Demetrio Corone parlò di rivoluzione. Penso a tutti i grandi poeti che hanno cantato la Calabria in versi, che hanno supplicato che non si perda la lingua, la bellezza, l’identità.
Quando penso al nuovo governatore, non voglio un giudice severo, voglio qualcuno che abbia cura. Non voglio solo promesse scritte e imbellettate, desidero una giustizia che si veda, che respiri, che si faccia strada tra le pieghe della burocrazia, che non resti parola vuota. Voglio l’onestà come architrave, la volontà come motore, la bellezza come guida.
Sì, la bellezza, perché non si può governare solo coi numeri, con le leggi, con gli ordini. La bellezza, quella dello sguardo, dell’anima, del volere bene; quella che ti fa restare anche se tutto sembra invitarti ad andar via. Se uno guarda una finestra aperta sul mare, un ulivo solitario sulla collina, una scuola piena di vita, un museo dove i bambini toccano antichi cocci come se fossero stelle, capisce che la bellezza è un diritto.
Allora: questa terra ha diritto a un’amministrazione che non rubi tempo, energia, fiducia. Un’amministrazione che ascolti i rumori delle pietre, che tenga conto del grido delle acque, dei genitori che vorrebbero una scuola seria per i figli, dei giovani che non chiedono miracoli ma collegamenti decenti, trasparenza, opportunità di restare o almeno che restare non sia una pena.
E mi offra speranza, non perché sono ingenua ma perché ho nelle rughe e negli occhi il riflesso di una Calabria capace di riscattarsi tante volte. Quando tremò la Rocca di Gerace, quando le paludi furono vinte, quando le idee filosofiche fiorirono, quando poeti e scienziati sfidarono tempi oscuri, quando abbiamo scelto di aprire i porti e il cuore.
Potrebbe essere il turno di chi saprà mettere al centro la dignità, non il potere; la verità, non la propaganda; il servizio, non la clientela. Potrebbe essere il turno di chi costruisce e non promette, di chi governa non per sé ma con gli altri. Perché se c’è qualcosa che questa terra ha insegnato, è che chi ama davvero non lascia nulla per scontato.
E così guardo la Calabria: con gli occhi che sanno vedere la sua ferita, ma anche il suo sorriso che continua a sbocciare. E spero che alle prossime elezioni non vinca solo il candidato più forte, ma il candidato più giusto. Che la governatrice o il governatore futuro non sia un titolo, ma una promessa. Una promessa che mantenga. Che sia giustizia, onestà, bellezza, volontà.