Da Milano alla Calabria, se la differenza la fanno le persone: quando l’umanità è più importante delle regole
Piccoli episodi quotidiani rivelano come empatia e comprensione possano cambiare la vita e diventare una ragione valida per scegliere dove stare: perché la persona viene prima, sempre
Oggi mi hanno fermata per un controllo. Una luce di posizione che, a volte, fa le bizze.
Scendo, do un piccolo colpetto, si accende.
«Succede», mi dicono. «Ma meglio farla controllare.»
«Sì, certo.. Buone feste.»
«Buone feste anche a lei.»
E mentre riparto, mi rendo conto che non è la prima volta che succede una cosa così. Così, mi tornano in mente alcuni episodi di quando vivevo a Milano (Ginevra ha fa tempo lasciato Milano con la famiglia per trasferirsi in Calabria, ndr). Infatti, ci sono differenze che non hanno a che fare con il Nord o il Sud, con l’efficienza o con il disordine, ma unicamente con l’umanità.
E quelle, quando le vivi sulla pelle, non te le dimentichi più: aneddoti che non sono clamorosi, ma freddi, di quelli che ti fanno sentire un potenziale colpevole senza attenuanti.
Ricordo una volta in cui il mio figlio più grande stava male. Dolori fortissimi alla pancia.
Lo porto di corsa dalla pediatra. All’epoca vivevo in centro storico, e parcheggiare era una lotta quotidiana. Giravo con una Smart piccola piccola.
Parcheggio di fretta, metto le quattro frecce. La macchina sporge fuori dalla linea residenti forse venti centimetri. Non blocco nessun passo carraio.
Quando scendo, trovo gli ausiliari del traffico che mi stanno già facendo la multa.
Spiego. Chiedo. Addirittura supplico!
«Mio figlio stava male, sono stata via pochissimo.»
Niente. Multa. Punti tolti dalla patente. Regolamento. Fine. Qualche tempo dopo succede un’altra cosa.
Una mia amica d’infanzia, aspetta l’esito di un esame importantissimo. È terrorizzata e non se la sente di ritirarlo; così mi chiede di farlo io per lei. Apro la busta... ed è come temeva; un tumore alla gola. La chiamo, cerco di rassicurarla e accendo la macchina per andare da lei. Sono sotto shock. Piango tantissimo. Riparto senza mettere la cintura. Guido in centro città. Velocità minima forse 30 all’ora. Stop al semaforo. Un vigile mi ferma. Gli spiego, e gli racconto la verità. Lui non mi crede e mi chiede il referto.
Glielo faccio vedere... il referto, coprendo il nome. La risposta è: «Non mi interessa.» «Chi mi dice che sia vero?» «Potrebbe essere una scusa.»
Multa e punti tolti dalla patente. In quel momento ho capito una cosa chiarissima: non stava parlando con una persona ma con un’infrazione.
Da quindici anni che vivo in Calabria mi hanno fermata tantissime volte. Posti di blocco, controlli, perquisizioni...
Non solo nel mio paese, dove tutti si conoscono, ma in tanti altri posti, su strade diverse, con persone che non mi conoscevano affatto. E ogni volta c’è stato dialogo.
Ogni volta che ho sbagliato, l’ho riconosciuto e ogni volta c’è stata almeno l’ipotesi che stessi dicendo la verità. Una luce che non funziona.
«Hai ragione, la sistemo.»
«Tranquilla, può succedere.»
Le gomme lisce per le curve e i tornanti.
«Hai ragione, le cambio.»
«Vai, fai attenzione.»
Non ho mai trovato qualcuno che volesse punire ma solo correggere, prevenire, almeno ascoltare cosa avessi da dire.
Io capisco l’importanza delle regole, soprattutto se si vive in posti affollati, complessi, difficili da gestire. Ma quando sei faccia a faccia con una persona, non stai parlando con un autovelox, con una macchina che legge una targa.
Stai parlando con un essere umano. E partire dal presupposto che l’altro stia mentendo, che sia in malafede, che stia cercando una scusa... è decisamente un approccio sbagliato.
Siamo esseri umani. Possiamo sbagliare.
Possiamo essere distratti, fragili e persino sotto shock da dimenticarci di mettere una cintura!
L’aspetto emotivo non è un dettaglio ma ciò che ci rende umani. E far finta che non esista, quando sei davanti a una persona in carne e ossa, non è rigore: è disumanizzazione.
Una ragione in più per cui sono felice di essere qui: non perché sia tutto perfetto, anzi. Ma perché almeno, prima della regola, qualcuno vede ancora la persona. E per me, questa, è una differenza enorme!