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13/11/2025 ore 15.28
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Ponte sullo Stretto, il fronte del No di nuovo in piazza: «Vogliamo casa, lavoro, ambiente e sanità»

La grande opera additata come «dispositivo politico portatore di un immobilismo strutturale nello sviluppo di intere aree del paese». La lotta continua. E il 29 novembre l’appuntamento è a Messina

di Redazione Attualità

«La mobilitazione contro il Ponte sullo Stretto è, oggi, uno spazio politico cruciale per la resistenza e il riscatto del Sud». Esordisce così una serie di associazioni e realtà contrarie all’opera in una nota congiunta.

«Teatrino politico di lungo corso, con interpreti che abbracciano la quasi totalità dello spettro politico, il ponte è da sempre accompagnato da un’aura mitica, che lo pone come infrastruttura necessaria per la risoluzione di tutti i mali del Meridione – prosegue la nota –. Un’opera che non vedrà mai la luce (o, quantomeno, non nella sua interezza) è diventata, così, non solo meccanismo di costruzione del consenso, ma anche dispositivo politico portatore di un immobilismo strutturale nello sviluppo di intere aree del paese, tra mancati investimenti e risorse rubate alle vere urgenze dei nostri territori».

«Queste urgenze, noi, le conosciamo bene – si legge –. Dalla Puglia alla Calabria, dalla Sicilia alla Campania, passando per la Basilicata, la Sardegna e il Molise: tanti Sud, stessi problemi. Siamo la periferia d’Europa, sempre agli ultimi posti in ogni classifica sulla qualità della vita, sui servizi, sul lavoro, sulla salute. Pochi giorni fa l’Eurostat ha fotografato la realtà: 93 milioni di persone a rischio povertà nell’Unione Europea. E ai primi posti ci sono Calabria e Campania, insieme alla Guyana Francese. Questi numeri non sono statistiche fredde: sono la vita quotidiana di milioni di persone, di famiglie che faticano a sopravvivere, di giovani che non vedono un futuro».

«In questo scenario – continua la nota –, il Ponte sullo Stretto è uno schiaffo. È l’ennesimo insulto a chi abita territori abbandonati, depredati e desertificati, simbolo di una politica che continua a scegliere il cemento invece delle persone. Il Sud, da secoli, è un territorio di conquista. Prima colonizzato, poi sfruttato, oggi devastato in nome della “vocazione turistica” e della “posizione strategica”. Parole vuote, dietro cui si nascondono solo povertà, disuguaglianze ed emigrazione, ce lo raccontano, ad esempio, in modo inequivocabile, le carceri italiane, in cui

la maggioranza dei detenuti è meridionale e migrante. Oggi a emigrare non sono solo i giovani, ma anche i meno giovani, per lavorare al Nord o all’estero, a produrre ricchezza altrove per stipendi da fame, inghiottiti da affitti che non lasciano respiro. Insegnanti, operai, infermieri, impiegati, postini, lavoratrici e lavoratori che partono e lasciano dietro di sé città e paesi svuotati».

«Il Ponte sullo Stretto – scrivono ancora le associazioni – torna a essere il pretesto per imporre un modello di sviluppo fondato sull’aggressione territoriale e sull’estrazione di profitto dalle risorse e dalle biografie degli abitanti. Si tratta di un modello che esclude programmaticamente le comunità locali dai processi decisionali, ponendole di fronte a un’alternativa forzata: accettare il ricatto di promesse occupazionali e finanziamenti oppure subire la devastazione ambientale e sociale legata all’opera. È, in sintesi, un modello che espelle progressivamente la popolazione residente, poiché considerata un ostacolo al suo avanzamento».

«D’altra parte – si rimarca – le grandi opere seguono sempre la stessa logica: calate dall’alto, devastano i territori e ignorano chi li abita. È una logica disumana, cieca, che piega tutto al profitto. La stessa che ritroviamo nell’economia di guerra e nelle distruzioni che produce: logiche diverse per scala e orrore, ma accomunate dallo stesso meccanismo: devastare per poi ricostruire, distruggere per fare speculazione. Non è un caso se, mentre un genocidio è ancora in corso, già si parla del “grande business della ricostruzione” a Gaza, un affare da oltre 80 miliardi su cui si affacciano le stesse multinazionali del cemento, come Webuild, la stessa del Ponte sullo

Stretto».

«Oggi la lotta No Ponte è molto più di una battaglia ambientale o locale. È un crocevia decisivo per il riscatto del Sud, un’occasione per tornare a essere voce collettiva. Davanti a tutto questo, siamo convinte che serva un’unità nuova, forte, popolare. La mobilitazione contro il Ponte – si aggiunge – deve diventare il simbolo di un Sud che rimette al centro sé stesso, i propri

bisogni, la propria dignità. Per questo il 29 novembre scenderemo in piazza, a Messina, uniti e compatti in uno spezzone sociale con parole chiave che rispecchiano le vere priorità del Meridione. Lo faremo in dialogo e continuità con il corteo nazionale contro la finanziaria di guerra che si terrà in quella stessa data a Roma, nella Giornata di solidarietà con il popolo palestinese».

«Il Ponte non lo vogliamo – concludono le associazioni –. Ma, ancora di più, non vogliamo più essere trattati come territori di conquista, come luoghi da sfruttare e svuotare. Vogliamo una sanità pubblica efficiente, capillare, di qualità. Vogliamo infrastrutture sostenibili, che colleghino davvero le persone. Vogliamo l’acqua nelle case, vogliamo scuole e ospedali che funzionino, vogliamo poter nascere, crescere e invecchiare con dignità, con servizi pubblici che non lascino indietro nessuno. Vogliamo poter scegliere di restare o di partire, senza essere obbligati a scappare. Vogliamo questo e molto di più. Vogliamo tutto. La lotta No Ponte è la nostra lotta per il diritto a restare».

Le firme

Assemblea No Ponte - Messina
No Ponte Calabria
La Base - Cosenza
Collettivo Addùnati - Lamezia Terme
Partito della Rifondazione Comunista - Federazione provinciale di Messina
USB Sicilia
USB Calabria
CSC Nuvola Rossa - Villa San Giovanni
Antudo
Centro sociale Anomalia - Palermo
Collettivo Scirocco - Palermo
Assemblea Popolare Ecologista (A.P.E.) - Palermo
Equosud - Reggio Calabria
COLPO “Mario Bruno” - Paola 
Lampare BJC - Cariati 
Agorà - Decollatura