Moby Prince, la lotta per la verità di Sara Baffa: «Mio padre Nicodemo morto senza giustizia»
Il capomacchinista originario di Santa Sofia d'Epiro è la vittima numero 70. Due processi e tre commissioni parlamentari non hanno consentito di scoprire cosa realmente sia accaduto la sera del 10 aprile 1991
A Santa Sofia d’Epiro, prima di chiudere gli occhi per la notte, una bambina abbraccia il cuscino, sperando di trovarci sopra il profumo dell’amato papà che - dopo aver attraversato gli oceani a bordo delle petroliere - lavora sulle navi traghetto per stare più vicino alla sua famiglia.
A Livorno, come ogni sera, la Moby Prince accende i motori e si prepara a lasciare la banchina Calata Carrara numero 55: l’arrivo a Olbia è previsto per l’indomani mattina alle sette. Il comandante del traghetto è Ugo Chessa, vero lupo di mare che, in passato, ha solcato i mari agitati e nebbiosi del Nord Europa. Nicodemo Baffa da Santa Sofia d’Epiro è invece imbarcato come capomacchinista.
Sulla Moby Prince, traghetto di proprietà della compagnia Nav.Ar.Ma. si contano settantacinque passeggeri e sessantacinque membri di equipaggio. Nel salone de luxe due bambine ballano sulle note della canzone Quando, quando, quando di Rony Renis, sotto lo sguardo divertito dei genitori. Ad esclusione di un giovane mozzo napoletano, passeggeri ed equipaggio non vedranno sorgere il sole sul mare di Olbia.
La più grande tragedia della Marina mercantile italiana dal secondo dopoguerra. L’Ustica del mare: queste le espressioni utilizzate per dare un nome alla strage della Moby Prince che, alle 22.25 del 10 aprile 1991, colpisce di prua la cisterna numero sette della petroliera Agip Abruzzo, carica di 82mila tonnellate di greggio crudo. Il petrolio si riversa sul traghetto, dove scoppia un incendio.
Il comandante Ugo Chessa impartisce al marconista Giovambattista Campus l’ordine di lanciare l’SOS: Mayday Mayday Mayday - Moby Prince - Mayday Mayday Mayday - siamo in collisione prendiamo fuoco. Il segnale radio sul canale internazionale di chiamata e di soccorso in mare 16 VHF è disturbato: nessuno, fino alle 23.45, si accorgerà della drammatica richiesta d’aiuto partita dal traghetto Moby Prince.
Le fiamme divorano anche la Agip Abruzzo: il comandante Renato Superina lancia un razzo per facilitare l’individuazione della petroliera e alla radio dice: «La bettolina che ci è venuta addosso è incendiata anche lei, però non so dove si trovi adesso. State attenti a non scambiare lei per noi». Come abbia potuto il comandate dell’Agip Abruzzo confondere la Moby Prince, lunga 131 metri, con una imbarcazione di pochi metri, rimane un mistero.
Alle 23.40 l’equipaggio della petroliera viene messo in sicurezza. In quegli stessi minuti, una motovedetta della Capitaneria di porto vede un uomo aggrappato alla ringhiera di un parapetto della Moby Prince: il mozzo Alessio Bertrand, dopo aver a lungo esitato, si getta in mare e viene salvato.
Il primo soccorritore mette piede sulla Moby Prince soltanto alle due del mattino: il marinaio del rimorchiatore “Fratelli Neri” non ha l’attrezzatura adatta e, dopo pochi minuti, è costretto ad abbandonare il traghetto.
A Santa Sofia d’Epiro la notte è trascorsa tranquilla. Silvana, moglie di Nicodemo Baffa, viene a sapere della tragedia soltanto la mattina dell’11 aprile: sul televideo appaiono i nomi dei dispersi e, anche se per errore in televisione c’è scritto Nicodemo Barra, lei capisce che non può trattarsi che di suo marito.
Sara, la bambina col cuscino che odorava di papà, oggi è una donna di 45 anni: si commuove al ricordo del tempo perduto e si ostina a cercare la verità: «Mio padre era una persona coraggiosa, sono convinta che, prima di morire, abbia fatto di tutto per tentare di salvare le persone che si trovavano sulla Moby Prince».
*Si ringrazia per il contributo l’Associazione 10 Aprile – Familiari Vittime Moby Prince ONLUS