Nuove frontiere nella cura della depressione, all’Unical si parla di “rinascimento psichedelico”: «Risposte più rapide ma no al fai da te»
All’Università della Calabria una conferenza con il docente e farmacologo Stefano Comai esplora potenzialità e rischi degli psichedelici nella psicoterapia e nel trattamento di alcune dipendenze: «Servono rigore scientifico e contesti controllati»
Un clima di rinnovato interesse, quasi un ritorno alle origini della ricerca neurofarmacologica degli anni Cinquanta, sta attraversando negli ultimi anni il mondo della salute mentale. Si parla, infatti, con una certa insistenza di “rinascimento psichedelico”: un movimento scientifico e culturale che mira a riportare al centro della medicina sostanze come LSD e psilocibina, per decenni schiacciate dallo stigma e dalle narrazioni legate alla controcultura hippie degli anni ’60 e ‘70.
Una criminalizzazione – portata avanti da diversi governi, con gli Stati Uniti in prima linea - che ha causato una brutta battuta d’arresto nella ricerca di quei decenni.
Solo negli ultimi tempi, come dicevamo, la percezione sta nuovamente cambiando. E anche l’Italia, tradizionalmente più prudente su questi temi, si sta affacciando verso nuove frontiere. All’Università della Calabria, nell’hub d’innovazione del Polifunzionale, si è recentemente tenuto un seminario dal titolo ““Psichedelici e cervello: nuove frontiere della ricerca neuropsicofarmacologica”, che ha visto come ospite il professor Stefano Comai, docente all’Università di Padova e tra i ricercatori italiani più attivi nello studio preclinico degli psichedelici.
Un confronto pubblico che arriva in un momento decisivo: lo scorso luglio, infatti, è partito nella Clinica Psichiatrica dell’ospedale di Chieti il primo trial clinico italiano sulla psilocibina per il trattamento della depressione resistente, segnando un passo storico dopo anni in cui gli studi erano confinati a Stati Uniti, Svizzera, Australia e Regno Unito.
Risposta rapida, terapie assistite e il pericolo del fai da te: come funziona il trattamento con psichedelici
Durante l’incontro all’Università della Calabria, Comai ha delineato con chiarezza le potenzialità e i limiti di una nuova stagione terapeutica che, pur promettente, richiede molta cautela. «Questi farmaci sono molto complessi e ancora non sappiamo se nella realtà clinica possono funzionare meglio degli antidepressivi che abbiamo oggi – gli SSRI», spiega il ricercatore. «Potrebbero dare un effetto molto più rapido, mentre gli antidepressivi tradizionali hanno bisogno di almeno due-sei settimane prima di funzionare e in molti pazienti non producono una risposta clinica».
La depressione, che in Italia colpisce oltre tre milioni di persone, rappresenta una delle sfide più urgenti per i sistemi sanitari contemporanei. Qui entrano in scena gli psichedelici, capaci – secondo i primi studi – di agire in modo diverso sul cervello, stimolando una sorta di “reset” delle connessioni neuronali. «Queste molecole agiscono aumentando soprattutto le connessioni sinaptiche, che in patologie come la depressione vengono perse», chiarisce Comai. Una caratteristica che potrebbe spiegare la rapidità con cui alcuni pazienti riportano un miglioramento dell’umore e delle capacità cognitive dopo una singola sessione.
Ma non si tratta di farmaci da assumere quotidianamente a casa, né si avvicinano allo schema delle terapie farmacologiche, che vengono solitamente prescritte dallo psichiatra di riferimento. L’assunzione di psichedelici – che, per definizione, sono delle vere e proprie droghe – avviene infatti in un contesto controllato, affiancata da una psicoterapia specifica: «Il paziente – sottolinea Comai – viene preparato dallo psicoterapeuta all’utilizzo della molecola, che permette di fare un vero e proprio viaggio all’interno della propria coscienza. All’interno di questo setting clinico, gli effetti sembrano essere positivi».
Il nodo resta soprattutto culturale ed etico. Ancora oggi, il termine “psichedelici” evoca infatti immagini di raduni hippie e sperimentazioni improvvisate che condizionano il dibattito pubblico. «C’è uno stigma nell’utilizzo di queste sostanze proprio perché erano state associate agli hippie o ai movimenti rivoluzionari del ventennio ’60-80» osserva Comai. Una percezione che mal si concilia con i dati sperimentali degli ultimi anni: «In realtà queste sostanze psicoattive sembrano essere tra le meno pericolose e non inducono dipendenza come potremmo pensare. Sono anzi utilizzate anche per trattare la dipendenza da altre droghe, come nicotina o alcool».
Ciò non significa, però, che siano prive di rischi. Senza un adeguato supporto clinico, gli effetti psichedelici possono degenerare in esperienze traumatiche. «È vietato il fai da te», avverte il professore. «Potrebbero indurre psicosi, bad trips, risvegli molto traumatizzanti». Il contesto terapeutico, dunque, non è solo un dettaglio operativo, ma una condizione essenziale per garantire sicurezza ed efficacia.
Il verdetto dei trial deciderà il futuro: gli psichedelici entreranno davvero nella pratica medica?
Il futuro? Dipende dalla ricerca e dalla capacità del sistema sanitario di integrare approcci innovativi. In Italia la strada è stata appena tracciata e gli ostacoli sono ancora numerosi: infrastrutture insufficienti, necessità di formazione specifica per psicoterapeuti e psichiatri, un quadro normativo rigido e una certa diffidenza culturale.
Tutto ruota attorno ai risultati del trial di Chieti e dei futuri studi clinici. «Vediamo se nel trial di Chieti ci saranno ottimi risultati e poi capiremo se anche in Italia potremo contribuire alla conoscenza generale e dirci se queste molecole funzionano o in che tipo di paziente funzionano», dice Comai. Se i dati saranno positivi, non è escluso che LSD e psilocibina possano entrare nella pratica clinica entro i prossimi anni, come già avvenuto per l’esketamina.
Per l’Italia, potrebbe essere l’inizio di una nuova era nella cura della depressione (e non solo): più rapida, più personalizzata e – forse – più efficace. Ma solo la scienza potrà dire se questo “rinascimento psichedelico” diventerà davvero un nuovo capitolo della medicina o tornerà di nuovo nell’oblio.