Padre Fedele Bisceglia, una vita dedicata agli ultimi: l’Africa, l’Oasi francescana e il calvario giudiziario
In giorni difficili Cosenza si stringe intorno al suo monaco ultrà. La sua storia resta quella di un uomo che, tra fragilità e forza, ha pagato un prezzo altissimo per accuse poi rivelatesi infondate
La storia di Padre Fedele Bisceglia resta quella di un uomo che, tra fragilità e forza, dedica la sua vita agli ultimi, pagando un prezzo altissimo per accuse poi rivelatesi infondate.
In un momento difficile della vita di padre Fedele raccontiamo la storia di questo frate che ha dedicato la sua vita agli ultimi
Le origini e la formazione
Padre Fedele Bisceglia, nato Francesco il 6 novembre 1937, cresce nelle asprezze della vita contadina di Laurignano, dove impara fin da piccolo l'arte di arrangiarsi. Rimasto orfano della madre a soli cinque anni, primogenito di quattro fratelli, trova la sua prima palestra di vita nelle campagne calabresi. Tra i suoi giochi preferiti c’è naturalmente il calcio, passione che lo accompagnerà per tutta la vita.
Definito da molti un "monello", entra in convento dai frati cappuccini, nel seminario di Acri, dove trascorre le ore di ricreazione coltivando la sua passione per il football. Negli anni Cinquanta affronta il bivio delle scelte obbligate: le letture di San Paolo, Sant'Agostino, delle Sacre Scritture, il noviziato, gli studi di teologia e le prime esperienze da missionario a Napoli e poi a Roma. Dopo l’ordinazione sacerdotale, si laurea in sacra teologia all'università del Laterano.
I primi incarichi e l'Africa
Negli anni irripetibili del '68, dopo alcuni approfondimenti culturali nelle biblioteche di Milano, riceve inaspettatamente l'ordine di tornare in Calabria. Viene mandato alla Montagnola, frazione del comune di Acri, dove non esiste nemmeno una chiesa e molte abitazioni sono prive di acqua ed energia elettrica. Padre Fedele celebra messa nelle aule scolastiche e conquista i giovani con la sua passione per il calcio, fondando una squadra dilettantistica in cui gioca come attaccante. Grazie ai suoi gol, la squadra ottiene la promozione in seconda categoria.
La sua vocazione missionaria lo porterà più volte in Africa, dove opera costruendo centri per bambini con disabilità, poliambulatori e scuole per infermieri. Durante un viaggio nell'ex Congo belga, all'epoca Zaire, in piena guerra civile vive momenti di grande pericolo: si rifugerà in un aeroporto più sicuro per sfuggire alle raffiche di mitra. In Africa contrae anche una gravissima forma di malaria (la stessa che aveva strappato alla vita Fausto Coppi) che lo costringe a un ricovero urgente in un ospedale specializzato del Veneto.
L’Oasi Francescana e l’impegno sociale
La sua opera più significativa è la fondazione dell’Oasi Francescana a Cosenza, una struttura di accoglienza che offre ospitalità e assistenza a centinaia di immigrati e poveri senza fissa dimora. Costruita grazie a sacrifici e donazioni, l’Oasi diventa un vero e proprio miracolo di carità.
Dal 1985 al 2007, migliaia di persone passano da lì: extracomunitari, senzatetto, anziani abbandonati, tutti gli ultimi della società. La mensa è frequentata da personaggi pittoreschi e indimenticabili, ciascuno con il proprio soprannome e la propria storia: Totonno "lo squalo", Franco detto "centolire", il "ragioniere" con la sua valigetta vuota, "cappiaddru" e "'u mammarutu". Ogni giorno si intrecciano storie di dolore, solitudine, ma anche solidarietà e gratitudine.
Padre Fedele distribuisce ai bisognosi tutto ciò che riceve dai benefattori: «Quello che ricevi lo devi donare», ripete sempre. Chiunque bussi alla sua porta sa che ne uscirà con il cofano pieno o con le bollette pagate, senza bisogno di spiegazioni.
Il “monaco ultrà” e la passione per il calcio
Una delle sue caratteristiche più distintive è la passione per il calcio e il legame con gli ultras del Cosenza. Nei primi anni ’80 si presenta in curva con il saio bianco e la sciarpa rossoblù. Inizialmente deriso dai tifosi, riesce a conquistarli e trasforma quelli che tutti definiscono “sbandati” in veri missionari della carità.
Con quegli ultras parte per l’Africa e, insieme a loro, fonda l’Oasi Francescana. Su tutti vale la pena menzionare Piero Romeo, Paride Leporace e Sergio Crocco. Grazie al calcio riesce a coinvolgere i giovani in opere di bene. Nel 1985, dopo la tragedia dell’Heysel, raduna in Calabria rappresentanze di 20 tifoserie italiane per parlare di quella strage e lanciare un messaggio di pace e contro la violenza negli stadi.
Le accuse e il calvario giudiziario
Il 23 gennaio 2006 inizia per Padre Fedele un lungo calvario: viene arrestato con l’accusa di aver violentato una suora che lavora nell’Oasi Francescana. Le accuse sono gravissime: violenze sessuali singole e di gruppo, con il coinvolgimento del collaboratore Antonio Gaudio. La suora denuncia anche l’esistenza di un video, mai trovato, che proverebbe una delle violenze.
Padre Fedele si dichiara subito innocente: «Mi sento perseguitato come Gesù. Le accuse sono totalmente inventate. Quella donna è solo una pazza». L’opinione pubblica si divide tra colpevolisti e innocentisti, mentre i media nazionali scatenano la gogna mediatica.
Il processo si trascina per anni. In primo e secondo grado, arriva la condanna: nove anni e tre mesi per Padre Fedele, sei anni e tre mesi per Gaudio. La sentenza viene confermata in appello nel dicembre 2012. Ma nell’agosto 2014 la Cassazione annulla tutto e rinvia a una nuova Corte d’appello.
L’assoluzione e la riabilitazione
Il 22 giugno 2015 arriva l’assoluzione totale da tutti i capi di imputazione. Solo Gaudio viene condannato per un reato minore. Il 9 giugno 2016 la Corte di Cassazione chiude definitivamente la vicenda, rigettando il ricorso della Procura: “il fatto non sussiste”.
Il suo avvocato Eugenio Bisceglia dichiara: «Padre Fedele è innocente. Vittoria dedicata a Enzo Tortora». Nel 2016 arriva anche una forma di riabilitazione pubblica con la nomina ad assessore alla Povertà nella giunta comunale guidata da Mario Occhiuto.
La sospensione a divinis e l’esclusione dall’Ordine
Nonostante l’assoluzione in sede civile, la Chiesa non lo riabilita: viene sospeso a divinis, privato del diritto di celebrare i sacramenti per presunte infrazioni al voto di castità. Nel 2007 l’Ordine francescano lo espelle per disobbedienza, dopo il rifiuto di restare in Umbria in un centro di recupero per preti problematici.
Per oltre quindici anni vive in un limbo ecclesiastico. Non può dire messa né confessare, ma continua a indossare il saio e a occuparsi dei poveri. Scrive anche al Papa, supplicandolo di poter tornare a celebrare l’eucarestia, ma la sua richiesta resta inascoltata.
Gli ultimi anni e l’eredità
Dopo aver perso l’Oasi Francescana, ora gestita da un’altra fondazione, crea il “Paradiso dei poveri” a Donnici, dove ricostruisce il suo piccolo mondo. Sulla porta di ingresso si legge: "Entra, ti stavo aspettando" Ogni giorno si reca in corso Mazzini a Cosenza a fare l’elemosina per i poveri, anche sotto la pioggia o con il freddo.
Dona ai bisognosi i 2.800 euro di indennità da assessore e gran parte della pensione da docente di francese. Intanto lavora alla costruzione di un ospedale pediatrico in Madagascar e continua a sostenere progetti umanitari in Africa tramite l’associazione “La Terra di Piero”, fondata da alcuni dei suoi ex ultras in ricordo del compianto Piero Romeo.
Le parole del perdono
Uno degli aspetti più toccanti della sua storia è il desiderio di perdonare. Ripete spesso: «Prima di morire vorrei incontrare la suora che mi ha accusato. Vorrei dirle che l’ho perdonata. Vorrei morire con questa serenità nel cuore». Sostiene di aver perdonato tutti, e invita a continuare a fare il bene nel suo nome. La fede, nonostante tutto, rimane incrollabile: «Mi sento e sono un chiamato di Cristo». E ricorda così il momento più duro: «La prima notte in carcere. Stanza numero 10. Madonna mia che nottata. Ero stordito. Incredulo. Come sono arrivato qui? Che ho fatto?».
Un appello alla Chiesa
Numerosi appelli, hanno alla Chiesa la revoca della sospensione a divinis. Sottolineano che ogni ombra giudiziaria è stata fugata e che, data l’età avanzata e le condizioni di salute, la revoca rappresenterebbe un gesto di giustizia e misericordia. Come si legge in uno di questi appelli: «Proprio oggi che Fedele Bisceglia affronta tribolazioni del corpo e dello spirito, la revoca della sospensione potrebbe essere un importante atto di apertura e coesione».
La storia di Padre Fedele Bisceglia resta quella di un uomo che, tra fragilità e forza, dedica la sua vita agli ultimi, pagando un prezzo altissimo per accuse poi rivelatesi infondate. Il suo desiderio più profondo resta lo stesso: poter tornare a celebrare messa. «Il saio è la mia pelle. Non potranno togliermelo neppure quando sarò morto». E proprio oggi il vescovo di Cosenza Checchinato ha riaperto le porte a quel sogno.