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28/08/2025 ore 06.15
Attualità

Polsi, il rito di Fede millenario infiltrato dalla ’ndrangheta e quel santuario da liberare per non abbandonare la Locride

La sospensione della storica processione per motivi di sicurezza è un duro colpo per i fedeli, che da secoli considerano la festa un punto di unione e speranza all’interno di un comprensorio segnato da povertà, dall’isolamento e dalla presenza pervasiva della criminalità

di Gianfranco Donadio

Ogni anno, nei primi giorni di settembre, l’Aspromonte si veste di un’energia primordiale. Le sue cime, tra le più alte della Calabria, si popolano di migliaia di pellegrini che, con un misto di devozione e fatica, risalgono sentieri e mulattiere per raggiungere il Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, un piccolo e noto paese, per diverse ragioni, arroccato a 1.000 metri di altezza nel cuore di San Luca, in provincia di Reggio Calabria. Questo pellegrinaggio, che affonda le sue radici in un passato lontano, non è solo un atto di religiosità, ma un complesso meccanismo di storia, antropologia e dinamiche socio-politiche che riflettono l’anima stessa della Calabria. Eppure, per la prima volta in quasi quattro secoli, come ci raccontano le cronache recenti, la processione della Madonna quest’anno non si svolgerà, segnando un momento di rottura che merita di essere compreso.

La storia del pellegrinaggio di Polsi: un culto millenario

Il Santuario della Madonna di Polsi è un luogo di devozione mariana tra i più importanti della Calabria, venerato come la “Madonna della Montagna” in dialetto reggino “A Maronna râ Muntagna”. La sua origine è avvolta nella leggenda, ma è anche una storia documentata che risale almeno all’XI secolo. Secondo la tradizione, la statua della Vergine, scolpita nel tufo dalla scuola siciliana del XVI secolo, fu ritrovata da un pastore in un punto in cui un bue si era inginocchiato davanti a una croce basiliana, segnando il luogo del futuro santuario. Questo racconto, che richiama le narrazioni di apparizioni mariane, si fonda su un substrato culturale più antico, legato ai culti pagani della Magna Grecia, come quello di Demetra, di cui si trovano tracce in reperti archeologici nei dintorni del santuario, tra cui statuette votive e monete di Siracusa, Agrigento e Sibari.

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Dal Medioevo, Polsi è stata un punto di convergenza per i fedeli della Locride e oltre, con carovane che risalivano l’Aspromonte a piedi, a dorso di mulo o su carri trainati da buoi. La festa, celebrata dal 31 agosto al 2 settembre, culmina nella processione del 2 settembre, durante la quale la statua lignea della Madonna viene portata a spalla dai confratelli pescatori di Bagnara Calabra, tra canti, preghiere e l’eco di zampogne, organetti e tamburelli. La veglia e il ritrovo nella notte precedente, chiamata dagli antropologi “incubatio”, è un momento di intensa spiritualità, ma anche di festa collettiva, con balli e canti popolari che celebrano la cultura tradizionale calabrese. La processione, che percorre le poche vie di Polsi, è un rito che unisce generazioni in un equilibrio fragile ma potente.

Il pellegrinaggio di Polsi è un rito di passaggio che rafforza il senso di appartenenza comunitaria in un territorio segnato da isolamento geografico e difficoltà economiche. L’Aspromonte, con le sue vallate impervie e le sue strade spesso impraticabili, è una terra di contraddizioni: un luogo di bellezza selvaggia, ma è anche un luogo spesso abbandonato dalle istituzioni. La Calabria, e in particolare la Locride, è una delle regioni più povere d’Italia, con un tasso di disoccupazione che nel 2023 superava il 15% e un PIL pro capite inferiore del 40% alla media nazionale. In questo contesto, il pellegrinaggio diventa un’occasione per riaffermare legami sociali e familiari, in un’area dove la rete parentale e comunitaria è spesso l’unico sistema di protezione sociale.

Il rito di Polsi, come osservato da studiosi come Ernesto De Martino e Luigi Lombardi Satriani, è un’espressione della religiosità popolare meridionale, che mescola elementi cristiani con tracce di culti pre-cristiani. La Madonna della Montagna è un simbolo di protezione e speranza per una comunità che vive in un contesto di marginalità. La processione, con i confratelli di Bagnara che corrono con la statua, rappresenta un atto di offerta e gratitudine, mentre le donne, con i loro ex voto, esprimono un’intensa devozione personale. Questo rituale collettivo, rafforza l’identità locale e crea un senso di continuità culturale in un territorio che, direbbe Vito Teti, lotta contro lo spopolamento e la crisi economica.

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L’ombra della ‘ndrangheta: un rapporto complesso

Da decenni, la festa di Polsi e il santuario sono stati associati alla ‘ndrangheta, la principale organizzazione criminale calabrese, che ha sfruttato il rito per i propri scopi. Il procuratore Nicola Gratteri ha descritto Polsi come un luogo dove la ‘ndrangheta custodisce simbolicamente le sue “12 tavole”, il codice etico che regola l’organizzazione. La festa, che attira tra i 10.000 e i 15.000 pellegrini ogni anno, è stata per tanto tempo un’occasione per i vertici delle cosche di incontrarsi, sotto il velo della devozione popolare. Nel 2010, il vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini, denunciò che ²in questo santuario si è consumata l’espressione più terribile della profanazione del sacro».

Il rapporto tra la ‘ndrangheta e Polsi è radicato nella capacità dell’organizzazione di infiltrarsi nelle dinamiche sociali e culturali del territorio. La ‘ndrangheta è un sistema che interagisce con la vita quotidiana, offrendo protezione, lavoro e prestigio sociale in un contesto di carenza di opportunità economiche. La presenza di boss durante la processione, come documentato in inchieste come “Crimine” del 2010, o l’inchino della statua davanti alle case di famiglie mafiose, come accaduto a Oppido Mamertina, sono esempi di come il crimine si serva del rito per legittimarsi. Tuttavia, non tutti i partecipanti sono complici: molti fedeli e pellegrini sono all’oscuro delle dinamiche criminali, e la ‘ndrangheta si inserisce in maniera sotterranea sfruttando la popolarità del culto senza alterarne l’essenza spirituale per la maggior parte dei devoti.

L’Aspromonte e il contesto socio-politico

Il legame tra la ‘ndrangheta e Polsi non può essere compreso senza considerare il contesto socio-politico della Locride. La ‘ndrangheta prospera in un’area dove lo Stato è percepito come assente o inefficace. La mancanza di infrastrutture, come le strade dissestate che conducono a Polsi, è un simbolo di questo abbandono. In questo anno i lavori di messa in sicurezza della strada che da San Luca porta al santuario, compromessa da una frana invernale, sono iniziati solo di recente, nonostante le promesse della Regione Calabria. Questo ritardo riflette una cronica incapacità di investimento nel territorio, che alimenta il vuoto di potere riempito dalla criminalità organizzata. La ‘ndrangheta, con il suo controllo economico (dalle estorsioni al traffico di droga), diventa un attore dominante in un’area dove il 60% delle attività economiche è influenzato, direttamente o indirettamente, dalle cosche, secondo stime investigative.

La sospensione della processione come un punto di svolta

Quest’anno, per la prima volta in quasi quattro secoli, la processione della Madonna di Polsi non si svolgerà. La decisione, annunciata dal Consiglio di Amministrazione del Santuario e comunicata al cardinale Zuppi, è motivata da due fattori principali: i lavori di restauro della chiesa del Santuario, che resterà chiusa per alcuni mesi, e l’inaccessibilità della strada di accesso, resa impraticabile dalla frana. La Prefettura di Reggio Calabria ha ritenuto troppo pericoloso consentire il passaggio di migliaia di pellegrini su un percorso compromesso, nonostante l’impegno tardivo della Regione per la messa in sicurezza.

Questa sospensione rappresenta un momento di crisi per un rito che, pur segnato da ombre criminali, è uno dei pilastri dell’identità calabrese. La ‘ndrangheta, che per anni ha sfruttato la festa per i propri summit, si trova privata di un’occasione simbolica di visibilità. La decisione è stata accolta con un misto di rammarico e sospetto, con alcuni che vedono in essa un’opportunità per liberare Polsi dall’influenza mafiosa, mentre altri temono che l’assenza del rito possa indebolire il tessuto sociale del territorio. La chiesa, sotto la guida del rettore don Tonino Saraco, ha cercato di emancipare il santuario dalla ‘ndrangheta, ma la sospensione della processione rischia di alienare i fedeli, rafforzando il senso di abbandono in una comunità già fragile.

Un futuro in bilico

Il pellegrinaggio di Polsi è un rito che incarna il tessuto di resistenza di una terra segnata dalla povertà, dall’isolamento e dalla presenza pervasiva della ‘ndrangheta. La sospensione della festa, pur giustificata da ragioni pratiche, è un duro colpo per una comunità che trova in Polsi un momento di unità e speranza. La sfida, oggi, è duplice: da un lato, liberare il santuario dall’ombra della criminalità, come auspicato dalla Chiesa locale; dall’altro, garantire che il rito, nella sua essenza spirituale e culturale, possa sopravvivere, anche in forme alternative, per non lasciare un vuoto che la ‘ndrangheta potrebbe sfruttare. La Calabria, l’Aspromonte, con la sua religiosità, con la sua storia millenaria, ha la forza per riscrivere il futuro di Polsi, ma serve un impegno collettivo che superi l’abbandono e le divisioni.