Sanità digitale ma solo a parole: in Calabria la ricetta elettronica va ancora stampata per essere accettata
Una paziente oncologica respinta senza la copia cartacea della ricetta. Tra Cup 2.0 e rivoluzione tecnologica (solo annunciata), gli utenti si scontrano con sportelli che pretendono ancora supporti vintage, costringendoli a lunghe e assurde trafile
Non è chiaro a cosa serva la ricetta dematerializzata, e pure il Cup elettronico, se poi l’utente è costretto a confrontarsi, ad ogni richiesta di prestazione, con una burocrazia ottusa e perversa, che pretende comunque la produzione del cartaceo, pena essere respinti come un pungiball allo sportello ed invitati a peregrinare alla ricerca di una cartoleria, di un tabaccaio, di un’edicola, di una qualsiasi anima pia da pregare affinché proceda alla stampa, pure in fretta, per non perdere l’appuntamento programmato magari da settimane, se non da mesi.
Rimpallo di responsabilità
Invenzione, immaginazione? Macché. Pura realtà. Provare per credere. E infatti, dopo decine di segnalazioni, lo abbiamo provato in una struttura privata convenzionata e in una struttura pubblica. Il primo esame? Una mammografia per una paziente oncologica di 71 anni. Sullo smartphone la ricetta elettronica del medico curante prenotata on line attraverso l’aiuto di una nipote. In farmacia basta presentare sul telefonino il codice a barre o il numero dell’impegnativa per acquistare le medicine. In questa struttura del cosentino no. Serve la carta. Che poi è risaputo: tutti in casa, soprattutto le signore di una certa età, dovrebbero disporre di una stampante. Così una donna anziana con una diagnosi di neoplasia viene mandata via, spedita fuori sotto la pioggia a cercare un esercizio commerciale dove poter mettere nero su bianco la documentazione. E se non ne trova nelle vicinanze che vada al diavolo, lei e la sua patologia. Alla richiesta di spiegazioni si fanno spallucce scaricando la responsabilità sull’Azienda Sanitaria Provinciale: «Per i rimborsi pretendono in allegato ai report le ricette cartacee» dicono i responsabili del laboratorio convenzionato. E certo. Mica gli impiegati allo sportello possono procedere loro a stampare. A parte il tempo vuoi mettere il costo? Come se le strutture convenzionate non fossero già profumatamente pagate per le prestazioni.
L’Asp chiarisca con una circolare
Il problema è generalizzato, ma per fortuna solo a macchia di leopardo e non esteso a tutti i laboratori e alle cliniche operanti sul territorio. Per la cronaca l’Asp di Cosenza, nella persona del direttore sanitario Martino Rizzo, nega che l’ente pretenda copie cartacee delle ricette per il rimborso delle prestazioni. Insomma, qualcuno mente. Chi di dovere allora produca una circolare in merito e chiarisca. Comunque nel pubblico le cose non vanno meglio. Nell’esperienza analizzata siamo di fronte alla richiesta di un prelievo citologico, comunemente noto come pap test. Primo problema: sulla stessa ricetta oltre al pap test il medico curante indica anche la visita ginecologica. Una ovvietà: nell’effettuare il prelievo il professionista sanitario mica si mette una benda. E però il sistema non offre alcuna soluzione per la contestuale prenotazione delle due prestazioni. Quindi se si vuole effettuare anche la visita bisogna compilare due diverse impegnative e recarsi in ambulatorio in giorni e addirittura luoghi differenti in base alle indicazioni del Cup. Dopo il prelievo ecco la seconda sorpresa: il campione di tessuto organico deve essere portato nell’unità di anatomopatologia dell’Annunziata a cura dell’utente, con la relativa ricetta. E a ricetta va prima regolarizzata al Cup.
La reprimenda: «Lo capisce anche un bambino...»
Naturalmente poi, allo sportello dell’ospedale l’addetto chiede il cartaceo, altrimenti niente accettazione del vetrino. E ti redarguisce pure: «Lo capisce anche un bambino – dice – che a me deve rimanere una documentazione in mano». E dopo essere riusciti a trovare nelle vicinanze, non immediate, del nosocomio, una cartoleria ed essere tornati all’anatomopatologia per il disbrigo della pratica, non poteva mancare il rilascio della ricevuta, cartacea ovviamente, necessaria per ritirare il referto (perché l’invio con posta elettronica non è previsto). Per cui l’utente dovrà affrontare un nuovo viaggio. Chapeau.
Così si scoraggia l’utenza
Quindi, riepilogando, per fare un pap test bisogna: andare dal medico curante per la ricetta o chiederla via mail salvo poi recarsi da qualche parte a stamparla; andare al cup per prendere l’appuntamento oppure prendere l’appuntamento on line o al telefono salvo poi recarsi da qualche parte a stamparla; andare in ambulatorio per il prelievo; custodire il campione; ritirare la ricetta per l’analisi del campione; andare al cup per regolarizzare quest’ultima prestazione o farlo on line o al telefono salvo poi recarsi da qualche parte a stampare il relativo documento; recarsi in ospedale di persona, carte alla mano per consegnare il campione; tornare qualche giorno dopo in ospedale a ritirare il campione. E poi qualcuno si chiede come mai anche chi è esente per patologia preferisce rivolgersi al privato e pagare.