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10/09/2025 ore 13.51
Attualità

Sfratto al Caffè Greco di Roma, Italia Nostra: «Una vergogna nazionale, una sconfitta per tutti»

Lo storico locale di via Condotti vincolato dal ministero come bene culturale dal 1953 rischia di chiudere per sempre. L’associazione di salvaguardia dei beni culturali: «L’esecuzione significherebbe lo smembramento e la distruzione irreversibile di un simbolo identitario della Capitale»

di Redazione

Giorno 1° settembre 2015, al civico 86 di via Condotti a Roma, nel cuore della Patria dei Beni Culturali, tutti hanno potuto assistere ad una scena assurda e scioccante, inconcepibile per Italia Nostra e per chiunque abbia un minimo di sensibilità culturale: la forza pubblica è stata chiamata a sfrattare coattivamente per finita locazione da quel luogo storico (non un conduttore qualsiasi, ma) l’imprenditore titolare dell’attività aziendale a marchio Caffè Greco. Un’attività iniziata nel 1760 che, sulla base di due decreti del ministero della Pubblica Istruzione del 1953 e del 1954, non può che svolgersi in quel preciso luogo.

Quei decreti hanno istituito un vincolo indissolubile (una comunione in termini tecnici) tra i tre elementi che compongono il Bene Culturale di proprietà di due soggetti diversi: da un lato l’attività aziendale, lo storico marchio “Caffè Greco” e gli arredi e le opere d’arte custodite in quel luogo, che sono di proprietà di proprietà della Società Antico Caffè Greco (cioè del conduttore sfrattato); dall’altro l’immobile in cui le opere d’arte e gli arredi sono contenuti e nel quale deve svolgersi l’attività a marchio Caffè Greco in forza del vincolo di tutela che è dell’Ospedale Israelitico (cioè del locatore che ha intimato lo sfratto per finita locazione).

Crediamo che chiunque sia in grado di capire che, eseguito lo sfratto, il Bene Culturale Caffè Greco verrebbe immediatamente smembrato e con ciò distrutto per sempre. Perché al civico 86 di via Condotti non potrebbe più svolgersi l’attività tutelata a marchio Caffè Greco, che è l’unica attività a potersi svolgere in quel luogo in forza del vincolo di tutela.

Se infatti il locatore (Ospedale Israelitico) è proprietario del solo immobile e di nulla più, e non è proprietario dell’attività aziendale a marchio Caffè Greco né degli arredi e delle opere d’arte, e se l’Ospedale Israelitico (che non è certo un ristoratore) o il nuovo conduttore dell’immobile (che attualmente non esiste) non acquista o prende in affitto l’azienda a marchio Caffè Greco dall’attuale conduttore sfrattato, cioè dalla Società Caffè Greco, è ovvio che quell’attività storica, in quel luogo storico, cesserà per sempre.

Uno sfratto non potrebbe comportare infatti l’esproprio a favore del proprietario dell’immobile del complesso aziendale di proprietà del conduttore sfrattato (comprensivo di beni, arredi ed opere d’arte: “oggetti che non possono essere rimossi, proprio a causa del vincolo culturale su di essi apposto”, secondo la cassazione). Ma che senso avrebbe lasciarli lì, a marcire, una volta cessata l’attività aziendale a marchio Caffè Greco?

Tanto più che la sentenza della cassazione che ha (purtroppo) convalidato inopinatamente lo sfratto ha affermato che «la prosecuzione dell’attività da parte dei proprietari dovrà avvenire nel rispetto delle norme sui segni distintivi onde evitare il possibile compimento di atti di concorrenza sleale».

Eseguito lo sfratto, dunque, i proprietari (del solo immobile) o il nuovo conduttore non potrebbero certo utilizzare il marchio Caffè Greco o usare nomi e segni distintivi idonei ad ingenerare confusione, né imitare servilmente l’attività del Caffè Greco.

Dovrebbero invece iniziare un’attività diversa, con una diversa “insegna”!

Il Caffè Greco non potrebbe nemmeno chiamarsi più “Caffè Greco”!

Ecco come il giudice delle locazioni (che non ha affatto competenza in materia di Beni Culturali) annullerebbe in realtà per vie traverse (con uno sfratto per finita locazione!) un vincolo di tutela del Ministero della Cultura che risale al 1953: quel vincolo di tutela che invece i giudici amministrativi (il Tar del Lazio) hanno strenuamente difeso dai tentativi dell’Ospedale Israelitico di farlo rimuovere.

Ora la domanda che Italia Nostra pone è la seguente: può un banalissimo sfratto per finita locazione determinare lo smembramento e, con ciò, la irreversibile distruzione, di un “bene culturale particolarmente importante” quale è il Caffé Greco?

A questa domanda ha risposto il ministero della Cultura, sostenendo con forza che lo sfratto è assolutamente ineseguibile, perché causerebbe, con assoluta certezza, la distruzione del bene culturale Caffè Greco, oltretutto in una sede impropria che non è quella della giustizia amministrativa.

Ed il Ministero della Cultura ha difeso il Bene Culturale Caffè Greco in tutti i modi possibili ed immaginabili: proponendo opposizione di terzo contro la sentenza (confermata dalla cassazione) che ha convalidato lo sfratto (giudizio ancora pendente); intervenendo nell’esecuzione per affermare l’ineseguibilità dello sfratto; rafforzando, con provvedimento del 30 luglio 2025 il vincolo di tutela, e decretando ai sensi dell’art. 7bis D.lgs. 42/2004 che il Caffé Greco «rappresenta una rilevante espressione di identità culturale collettiva della città di Roma»; sollecitando con forza l’indispensabile accordo tra le due proprietà, nell’interesse pubblico alla salvaguardia di un bene culturale particolarmente importante.

Un accordo che potrebbe basarsi sull’adeguamento del canone ai valori di mercato; sull’acquisto dell’immobile da parte dell’attuale conduttore ai valori di mercato; sulla vendita o sull’affitto dell’azienda Caffé Greco al conduttore.

Battersi contro lo sfratto e sollecitare un accordo non significa affatto parteggiare per una delle parti (il conduttore può essere chiunque rilevi l’attività aziendale ed il marchio Caffé Greco, facendosi carico dei dipendenti che, altrimenti, eseguito lo sfratto, perderebbero il lavoro), ma è la missione che il ministero della Cultura non può fallire.

Se fosse eseguito lo sfratto lo storico locale rimarrebbe chiuso al pubblico; nessun potrebbe più accedervi, nemmeno il locatore, per la presenza di beni, arredi ed opere d’arte di proprietà della Società Antico Caffè Greco (inamovibili in base al vincolo); nessuno potrebbe svolgervi altra attività che non fosse quella tutelata a marchio Caffè Greco, senza prima subentrare nell’azienda Caffè Greco a titolo oneroso.

Una sarcinesca chiusa. Ecco il risultato dello sfratto. A chi gioverebbe?

Sulle macerie del fu Caffè Greco andrebbe avanti solo il lavoro degli avvocati. Fino a quando, forse un giorno, finite le battaglie giudiziarie, un luogo storico, fortemente identitario, intriso di cultura, diventerà il solito “non luogo”: la vetrina di qualche griffe o brand dell’economia globalizzata.

Sarebbe una sconfitta per tutti. E una vergogna nazionale.