La Calabria che sparisce: un'emergenza demografica che minaccia il futuro del Sud
L’Istat indica un calo drastico dei residenti entro il 2030: non è un problema soltanto numerico, ma una crisi esistenziale che erode il tessuto sociale ed economico di una regione già fragile. A confronto le idee di Teti, Cersosimo, Licursi e Aiello
In un'Italia che invecchia e si contrae, la Calabria emerge come il simbolo più drammatico di un declino silenzioso. Secondo dati provvisori dell'Istat al 31 dicembre 2024, la popolazione residente nazionale è scesa a 58 milioni 934 mila unità, con un calo di 37 mila rispetto all'anno precedente. Ma è nel Mezzogiorno, e in particolare in Calabria, che lo spopolamento assume contorni allarmanti: al 31 dicembre 2023, la regione contava appena 1.838.568 residenti, pari al 3,1% della popolazione italiana, con una diminuzione di circa 8 mila abitanti in un solo anno. Al primo gennaio 2025, il saldo è ancora più negativo: -6.421 persone, un'emorragia costante che proietta scenari cupi. Le previsioni Istat, in ipotesi mediana, indicano che entro il 2030 la Calabria potrebbe ridursi a 1.755.756 abitanti, per precipitare a 1.646.000 nel 2040. In trent'anni, dal 1995 al 2023, la popolazione è calata del 10,3%, da 2.063.300 a 1.850.366 unità, un trend accelerato da un mix letale di emigrazione giovanile, crollo delle nascite e invecchiamento.
La Calabria che scompare tra laureati in fuga e borghi destinati a morire: serve un piano per i giovaniQuesto non è un problema soltanto numerico, ma è una crisi esistenziale che erode il tessuto sociale ed economico di una regione già fragile. Nel 2024, le nascite in Calabria sono state appena 12.700, con un calo del 4,5% rispetto all'anno precedente, mentre la popolazione straniera – 106.285 persone al 31 dicembre 2024 – rappresenta meno del 2% del totale, insufficiente a compensare le perdite. Dal 2019 al 2024, la Calabria ha perso l'equivalente demografico di una città come Cosenza, con un esodo che non risparmia nemmeno i centri urbani più grandi. Come documentarista ho cercato di seguire per anni le dinamiche del Sud, e vedo in questi numeri non solo statistiche, ma storie di famiglie divise, paesi fantasma e opportunità negate. Lo spopolamento non è inevitabile, ma spesso è il risultato di politiche miopi, che hanno fallito nel contrastare disoccupazione cronica, carenze infrastrutturali e l'ombra della criminalità organizzata.
Tra gli intellettuali che hanno illuminato questo fenomeno con sguardi diversi, lo scrittore e antropologo Vito Teti emerge come voce poetica e critica. Docente all'Università della Calabria in pensione e originario di San Nicola da Crissa, Teti ha coniato il concetto di «restanza» – l'atto di restare come forma di resistenza e speranza. In una recente intervista, ha avvertito che «la Calabria rischia di svuotarsi, ma la restanza è un atto di speranza», sottolineando il diritto dei giovani a realizzarsi nella propria terra senza cedere alla nostalgia passiva. Per Teti, lo spopolamento non è solo migrazione economica, ma una frattura culturale dove i paesi interni diventano «luoghi inquieti» e il vuoto demografico dissolve memorie collettive e legami comunitari. La sua prospettiva antropologica invita a rigenerare i territori attraverso la valorizzazione delle risorse locali, trasformando l'abbandono in opportunità di rinascita.
Sul fronte economico, Mimmo Cersosimo offre un'analisi spietata di una «Calabria estrema». Professore in pensione di Economia applicata anche egli all'Università della Calabria e vicepresidente dell'Associazione Riabitare l'Italia, Cersosimo – spesso in tandem con la sociologa Sabina Licursi – descrive una «modernizzazione passiva» che ha accentuato lo spopolamento delle aree interne. Nel loro recente libro "Lento pede. Vivere nell'Italia estrema" (Donzelli, 2023), evidenziano un «doppio movimento»: da un lato, l'erosione della cittadinanza attraverso la mancanza di servizi; dall'altro, una resilienza nascosta nei luoghi rarefatti. Cersosimo parla di «cittadinanza a geometria variabile», dove i residenti delle periferie calabresi affrontano disuguaglianze strutturali che alimentano l'esodo. La sua ricerca sulla Strategia Nazionale per le Aree Interne (Snai) in Calabria sottolinea come lo spopolamento sia intrecciato a polarizzazioni sociali, con una regione «spaccata in due» tra benessere costiero e povertà interna.
Sabina Licursi, professoressa di Sociologia presso il Dispes all'Università della Calabria, aggiunge una dimensione umana e relazionale. Coordinatrice di indagini sulle aree interne, Licursi osserva che «la vita delle aree interne della Calabria è rarefatta, ma non spenta». Nei suoi studi, evidenzia le difficoltà dei giovani: mancanza di servizi, isolamento e povertà educativa spingono all'emigrazione, ma emergono anche "legami con i luoghi" che potrebbero invertire la rotta. Licursi critica il «disconoscimento» delle marginalità, proponendo politiche che coltivino relazioni e solidarietà per contrastare lo spopolamento. Il suo sguardo sociologico complementa quello di Cersosimo, focalizzandosi su come il declino demografico amplifichi esclusioni, soprattutto tra i giovani.
Infine, l'economista Francesco Aiello, docente di Politica Economica e direttore del Dipartimento di Economia Statistica e FInanza “Giovanni Anania” dell'Unical e fondatore di Open Calabria, quantifica il dramma con rigore analitico. "Trent'anni persi", titola una sua recente analisi: dal 1995 al 2023, la Calabria ha visto evaporare 213 mila abitanti, con indicatori economici in costante peggioramento. Aiello avverte che «l'esodo non risparmia i grandi centri» e che, senza trasformare l'economia, la regione è destinata a un «inverno demografico» irreversibile. La sua priorità? Investire in lavoro e servizi per fermare la fuga, altrimenti lo spopolamento "divorerà le risorse", come ha perso in cinque anni l'equivalente di una città media.
Questi studiosi – Teti con la sua poetica della restanza, Cersosimo e Licursi con l'analisi delle marginalità, Aiello con i numeri impietosi – convergono su un punto: lo spopolamento non è fatalità, ma conseguenza di scelte politiche. Mentre il Rapporto Svimez 2025, in uscita il 27 novembre, potrebbe offrire nuovi insights sul Mezzogiorno, è urgente agire: infrastrutture digitali, incentivi per i giovani, lotta alla 'ndrangheta e turismo sostenibile. Altrimenti, la Calabria non sarà solo più vuota, ma più povera di futuro. È tempo che Roma e Catanzaro ascoltino queste voci: il Sud non può permettersi di svanire.
*Documentarista