Spopolamento, l’accusa da Santa Severina: «Il governo Meloni se n’è lavato le mani, dobbiamo accogliere i migranti»
La ricetta del sindaco Lucio Giordano contro l’eutanasia dei piccoli borghi: «Allargare i bandi anche ai comuni sotto i 5mila abitanti, includere le famiglie dei profughi e iniziare a pensare a fusioni e unioni dei Comuni»
Santa Severina, piccolo centro dell’entro terra crotonese, è diventato negli ultimi anni un borgo a forte attrazione turistica. Meta culturale, ospita eventi e molte gite, questo grazie principalmente al suo castello ristrutturato e attivo ed al suo centro storico comprensivo di tutti i servizi.
Ovviamente però per sopravvivere affronta quotidianamente le sfide che lo spopolamento impone. Le racconta il sindaco Lucio Giordano che guida l’ente da anni e che non si risparmia nel sostenere quanto il governo Meloni abbia invertito la rotta rispetto alle idee sul tema dei ministri Barca e Minniti, su “piano strategico” e “immigrazione”, che secondo lui avrebbero dato respiro ai piccoli centri.
Sindaco, nel nuovo “Piano strategico per le aree interne” il Governo parla chiaramente di «spopolamento irreversibile». In molti hanno pensato che questa affermazione abbia abbandonato centinaia di Comuni al loro destino. Anche lei la pensa così?
«L’idea di mettere in campo strategie per le aree interne è dell’ex ministro Barca. Si è iniziato a ragionare sulle aree interne da 10 anni, mettendo in campo risorse finanziare della comunità europea, del governo e delle regioni. Che ci siano centri con indici di irreversibilità di spopolamento è risaputo, se però si parla di aree significa che il problema va affrontato complessivamente, creando i presupposti per invertire questa tendenza. Quello che afferma il ministro Foti, una sorta di eutanasia verso questi centri, appare come un disimpegno del governo versa questa strategia. Sottrazione di fondi che si associa ad una politica che va nella direzione opposta alla difesa delle aree interne. Razionalizzare la spesa significa togliere dirigenze scolastiche, sedi di guardia medica, tagliare su investimenti (come i bandi governativi a cui non si può partecipare se i comuni sono sotto i 5.000 abitanti; piuttosto che mettere limiti agli investimenti in base alla popolazione, come se intervenire su una frana lo si fa in base alla popolazione e non che all’entità del movimento franoso). Lo spopolamento lo si rende irreversibile se ad una politica della desertificazione delle aree interne si aggiunge quella della sottrazione di fondi a queste aree».
I comuni andrebbero rilanciati, sostenuti con misure eccezionali. È un’eutanasia di Stato che colpirà tantissimi comuni del sud e della Calabria. Nel silenzio delle Regioni, compresa la nostra. Il suo punto di vista?
«Sulla possibilità che questo governo metta in campo misure eccezionali per rilanciare queste aree ho i miei dubbi. Avevano in mano i fondi del Pnrr e non si è fatto nulla per le aree interne. Del resto significherebbe attuare una politica che vada nel senso opposto a quella che si sta attuando da anni. Vorrebbe dire finanziare investimenti produttivi, predisporre una viabilità che entri nelle aree interne, mettere in campo una politica che vada contro la globalizzazione e la razionalizzazione. Poi quello che possono fare i sindaci che amministrano centri delle aree interne, se vuoi avere la possibilità di mettere in campo strategie, per prima cosa bisogna andare verso una politica dell’Unione dei comuni, questo farebbe sì che i sindaci avessero un diverso peso politico. Difendere l’identità del territorio, vale a dire promuovere le peculiarità di quel territorio, puntare sulla inclusione degli immigrati. Stabilizzare famiglie di immigrati significa incrementare la popolazione, tenere aperte le scuole, offrire forza lavoro nell’agricoltura e nell’edilizia, poter rilanciare l’artigianato far muovere l’economia dei piccoli centri».
Santa Severina si distingue per la forza attrattiva proveniente dal Castello e le iniziative culturali, pensa che questo basti a salvare il piccolo Borgo? Quanto soffre una località come la sua della carenza di infrastrutture e collegamenti adeguati?
«Per anni Santa Severina è stato uno scrigno di tesori nascosti. Era conosciuta per le sue istituzioni: sede arcivescovile e di seminario diocesano, sede di liceo classico e di convitto maschile e femminile, sede di pretura e carcere mandamentale. Oggi a parte il liceo classico, queste istituzioni non ci sono più. Santa Severina è conosciuta in tutta la regione ma anche a livello nazionale e all’estero per il suo patrimonio artistico monumentale: castello, battistero, cattedrale, museo arte sacra, villa comunale di Altilia, area archeologica di Altilia, pista ciclabile area SIC monte Fuscaldo, Capraro e valle del Neto. È conosciuta per le iniziative culturali che si svolgono per tutto l’anno, anche se con scarsa attenzione delle istituzioni sopra comunali. Però un sindaco sa che lo sviluppo del proprio centro è legato allo sviluppo del territorio. Facciamo la nostra parte ma avvertiamo la necessità dello sviluppo di infrastrutture soprattutto quelle legate alla mobilità. Lo stato delle strade provinciali o della statale 106 è penoso, da anni lottiamo per la provincializzazione della strada comunale che collega Santa Severina alla ss107 e di conseguenza a Crotone, una rete ferroviaria che non c’è, un aeroporto che funziona a singhiozzo. Investire su queste infrastrutture è propedeutico ad ogni tipo di sviluppo».
Secondo lei la gestione dell’immigrazione legale potrebbe aiutare? Ha qualche idea da proporre al Governo centrale o ai suoi colleghi sindaci?
«In parte ho già risposto dicendo che l’inclusione delle famiglie degli immigrati potrebbe essere una risposta allo spopolamento delle aree interne, creerebbe presupposti per tenere aperte le scuole, in più sarebbe utile per avere forza lavoro nell’agricoltura e nell’edilizia. L’ex ministro Minniti puntava alla chiusura dei centri di prima accoglienza e puntava alla polverizzazione della accoglienza degli immigrati in ogni paese. Durante quell’occasione in Calabria i sindaci avevamo sottoscritto un protocollo di intesa, ma poi venne Salvini che bloccò tutto».
Il tema dello spopolamento non viene affrontato nelle sedi opportune istituzionali e politiche, mai messo all’ordine del giorno. Da dove potrebbero arrivare le idee se la Politica evita l’argomento? In molti sospettano che sia un piano predefinito da molti anni, anche secondo lei?
«Si, è così! Una politica che punta alla razionalizzazione della spesa accentrando i servizi ha, certamente, contribuito alla desertificazione delle aree interne e quindi al loro spopolamento.
Intanto i sindaci sono disperati perché diminuisce il sostegno ai servizi essenziali e da anni sono rimasti senza risorse e senza personale. Come si può amministrare così? Se per servizi intendiamo manutenzione ordinaria di strade comunali, manutenzione del verde pubblico, raccolta differenziata su questo una politica accorta può indirizzare risorse alla salvaguardia del bene pubblico. Poca cosa un sindaco può fare se parliamo della sanità, della scuola, della viabilità che mette in comunicazione i centri urbani, del sistema idrico integrato piuttosto che dello smaltimento dei rifiuti, dell’assistenza ai disabili a meno che non intendiamo parlare del ruolo che i sindaci possono avere in istituti sovracomunali, anche qui il ruolo del sindaco è però proporzionale al numero dei cittadini che rappresenta, ecco perché la prospettiva deve essere l’unione dei comuni per contare di più e avere più servizi».
Altro grande tema, che potrebbe aiutare in questo caso, è quello dell’unione dei Comuni attraverso le fusioni. Sappiamo che sono poche quelle che veramente funzionano, ma comunque tolgono l’identità, la storia e la cultura secolari di tanti paesi. La Calabria è pronta a questo passo?
«Unione dei servizi o fusione dei servizi, questo credo che sarà indispensabile per la sopravvivenza di alcune realtà. Fusione dei comuni o unione di alcuni servizi, invece, credo dipenda dalle distanze, dal rapporto numerico, un piccolo comune potrebbe trarre vantaggi dall’unione di servizi come la polizia municipale ma anche area tecnica o contabile. L’unione dei comuni non deve essere vista come la perdita di identità, piuttosto come un’unica realtà che mantiene la propria identità culturale ma che avrà la possibilità di strutturarsi con una nuova programmazione urbanistica creando servizi più efficienti. Quindi, si, potrebbe essere una soluzione ma non so dire se la Calabria sia ancora pronta».