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24/11/2025 ore 08.24
Attualità

Ondate di memoria: il terremoto dell'Irpinia del 1980 tra scienza della terra e scienza dell'uomo

Il bilancio umano fu devastante: 2.914 morti ufficiali, 8.848 feriti e 280.000 sfollati. Il sisma ha inciso non solo sulle rocce, ma sulle trame relazionali e simboliche delle comunità

di Gianfranco Donadio*

A quarantacinque anni dal 23 novembre 1980, l'Italia meridionale non ha ancora del tutto rimarginato la ferita aperta da una scossa che, in soli 90 secondi, ha ridisegnato non solo il paesaggio geologico, ma anche l'orizzonte esistenziale di intere generazioni. Il terremoto dell'Irpinia registrò una magnitudo di 6,9 sulla scala Richter, con un ipocentro a circa 10 km di profondità e un epicentro localizzato tra Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, al crocevia delle province di Avellino, Salerno e Potenza. L'energia liberata, equivalente a quella di una bomba atomica di 15 kiloton, propagò onde sismiche su un'area di 17.000 km², estendendosi dal Tirreno all'Adriatico e raggiungendo, in forma attenuata ma percepibile, anche la Calabria, dove la scossa principale fu avvertita con intensità fino al V-VI grado Mercalli, causando lievi crepe in edifici storici e un fugace panico tra la popolazione, che si riversò in strada sotto un cielo già scosso da sismi passati. Questo "eco" calabrese, pur non catastrofico, simboleggia come i terremoti appenninici non rispettino confini amministrativi, ma incrociano destini geologici e umani in un continuum mediterraneo.

Su un piano scientifico, il sisma del 1980 rappresenta un paradigma di complessità tettonica. Non fu un singolo evento, ma una sequenza di tre sub-eventi su faglie ortogonali – i segmenti di Monte Marzano, Carpineta e Cervialto – che si propagarono in 40 secondi, generando una superficie di faglia di circa 40 km e dislocazioni verticali fino a 120 cm sul Monte Carpineta. Studi paleosismologici recenti, condotti dall'Ingv e dal Cnr, hanno datato terremoti predecessori sulla stessa faglia irpina a intervalli di circa 2.000 anni, confermando un ciclo ricorrente che rende l'Appennino meridionale un "laboratorio naturale" per la comprensione della subduzione ionica e dell'estensione crostale. L'analisi delle repliche, registrate da una rete sismica ancora embrionale (solo 20 stazioni nazionali nel 1980), ha rivelato una crosta eterogenea con variazioni nella velocità delle onde P, evidenziando come il terreno argilloso e le frane secondarie – imponenti a Calitri, Caposele e Calabritto – abbiano amplificato i danni. Oggi, pubblicazioni come lo Special Issue "The November 23rd 1980 Irpinia-Lucania Earthquake: Insights and Reviews 40 Years Later" (MDPI, 2023) contano oltre 196 contributi su Web of Science, focalizzati su microzonazione sismica e reti di monitoraggio avanzate, come l'Irpinia Near Fault Observatory. Questi studi modellano early warning systems che potrebbero mitigare futuri eventi, riducendo il "fattore umano" – ovvero la vulnerabilità edilizia – che nel 1980 causò il crollo di interi patrimoni abitativi in 688 comuni.

Ma la scienza della Terra, per quanto illuminante, appare incompleta senza lo sguardo antropologico, che rivela come il sisma abbia inciso non solo sulle rocce, ma sulle trame relazionali e simboliche delle comunità. Il bilancio umano fu devastante: 2.914 morti ufficiali (con stime fino a 3.000), 8.848 feriti e 280.000 sfollati, concentrati in paesi come Sant'Angelo dei Lombardi (dove un quinto della popolazione perì) e Laviano. In Calabria, l'avvertimento della scossa evocò una "crisi della presenza" che avrei capito una decina di anni più avanti nel concetto etnografico di Ernesto De Martino, in cui l'individuo, travolto dal caos, rischia la dissoluzione identitaria, un'eco del trauma del 1783 che ancora permea il folklore calabrese di processioni e ex-voto. Antropologicamente, il terremoto irpino divise le biografie in un "prima" e un "dopo": famiglie sradicate dai container, migrazioni accelerate verso il Nord Italia e l'Europa (con un picco femminile negli anni '80), e un lutto collettivo che si manifestò in riti di commemorazione, come le fiaccole annuali a Conza della Campania, rasa al suolo e ricostruita ex novo a valle.

La ricostruzione, finanziata con 52 mila miliardi di lire (equivalenti a circa 30 miliardi di euro odierni), fu un prisma antropologico di luci e di ombre. Da un lato, generò resistenza comunitaria: paesi come Calitri e San Mango sul Calore, studiati in microzonazioni Cnr del 1983, mostrarono una "resilienza relativa” con reti sociali che assorbirono il trauma attraverso centri collettivi e iniziative come "Terrae Motus" di Luciano Amelio, che commissionò opere a artisti globali (da Warhol a Hockney) per trasformare le macerie in un museo a cielo aperto a Nusco. Dall'altro, incubò una "terremotocrazia" – neologismo per il clientelismo Dc dominante – con tangenti, infiltrazioni camorristiche e spopolamento: l'Alta Irpinia perse il 40% della popolazione tra 1981 e 2001, accelerando un esodo preesistente verso l'industrializzazione fallita (solo il 53% dei posti promessi creati entro il 2005). Studi recenti, come "Memorie dal Cratere" di Moscaritolo (2020), documentano traumi post-sismici: bambini che nei disegni del 1981 raffiguravano case come prigioni di macerie, e adulti afflitti da stress cronico, eco di una "perdita di presenza" che lo stesso De Martino legava alle catastrofi magiche del Sud.

In Calabria, questo riverbero antropologico si tradusse in una solidarietà interregionale: aiuti da Reggio Calabria e Cosenza, che evocarono memorie condivise di sismi passati, rafforzando un'identità "meridionale" contro lo Stato assente. Il discorso di Sandro Pertini – «Qui non c'entra la politica, c'entra la solidarietà umana» – trasmesso il 26 novembre, divenne un archetipo culturale, denunciando ritardi nei soccorsi (fino a cinque giorni in alcune valli) e ispirando la nascita della Protezione Civile moderna con Giuseppe Zamberletti. Oggi, iniziative Ingv come la Call to Action "Custodi di Memoria" (2025) invitano a condividere oggetti e storie, trasformando il trauma in patrimonio educativo: mappe interattive della sequenza sismica, docu-film come "Irpinia80 – Viaggio nella terra che resiste", e speed date scientifici a Grottaminarda. Proprio in questo solco di divulgazione scientifica, la Calabria continua a innovare: è imminente l'uscita della quarta puntata della web serie "Le ricerche svelate" dell'Università della Calabria, prodotta dal Kino Lab del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DISPeS) e dal Servizio Comunicazione dell'Ateneo di Arcavacata. Questa puntata, dedicata al "Metodo Durante" – un approccio innovativo sperimentato dalla ricercatrice Maria Pia Durante – si inserisce perfettamente nel dialogo tra scienza e umanità, offrendo uno strumento contemporaneo per elaborare memorie come quelle dell'Irpinia, con un focus in costruzione sul recupero psicologico e sociale delle comunità colpite da disastri naturali. La serie, che ha già esplorato temi come il sorriso enigmatico della Monna Lisa (ep.1), la lotta al cancro (ep.2) e gli squali come bioindicatori marini (ep.3), continua a rendere accessibili ricerche d'avanguardia, rafforzando il legame tra università e territorio calabrese in un'ottica di resistenza condivisa.

Quarantacinque anni dopo, il terremoto irpino ci interroga: la scienza ha mappato le faglie, ma l'antropologia ci rammenta che le vere scosse sono quelle dell'anima collettiva. In un Mezzogiorno ancora fragile, tra spopolamento e resistenza, la memoria non è mera commemorazione, ma strumento per una prevenzione olistica: geologica, sì, ma ancor più umana. Solo intrecciando dati sismici e narrazioni sociali potremo convertire il dolore in difesa, assicurando che il 23 novembre non sia solo un anniversario, ma un monito vivo contro l'oblio.

*Documentarista