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16/10/2025 ore 11.46
Attualità

TikTok è la nuova vetrina delle mafie, Gratteri ai giovani: «Vi attirano con la ricchezza, non fatevi fregare»

Il “mobinfluencing” trasforma i boss in icone digitali tra lusso e devozione. Il curatore del rapporto della Fondazione Magna Grecia Ravveduto: «La vita mafiosa diventa spettacolo, senza etica né realtà». Nicaso: «Emoji e Hashtag al servizio della narrazione criminali». Foti: «È il laboratorio culturale del male»

di Alessia Truzzolillo

«Queste mafie esternano la loro ricchezza, il loro potere che serve ad accalappiare i giovani, a irretire i giovani come dire “venite da noi, venite con noi, noi siamo il modello vincente, noi siamo quelli che possono farvi diventare ricchi”». Le parole del procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, sono state riprese nel report “Le mafie nell’era digitale. Focus Tik Tok”, pubblicato dalla Fondazione Magna Grecia e curato dal professore Marcello Ravveduto.
La ricerca è stata presentata ieri al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite e New York alla presenza del procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, di Antonio Nicaso, esperto di fenomeni criminali e docente alla Queen University del Canada e del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo.

La mafiosfera e il ruolo di Tik Tok

L’introduzione del lavoro è stata curata dal professore Nicaso, il quale pone l’accento sul concetto di mafiosfera «inteso come un sotto-ambiente comunicativo e semiotico che si articola all’interno dell’infosfera contemporanea, mutuandone la struttura e le modalità operative ma rovesciandone finalità e codici etici». In poche parole «la mafiosfera opera secondo logiche di opacità, manipolazione simbolica, intimidazione e mitizzazione del potere mafioso». In questo contesto si inserisce anche la piattaforma social Tik Tok. «La cultura mafiosa – scrive Nicaso – trasloca l’intero patrimonio simbolico (reliquie, immagini, canzoni, rituali, narrazioni familiari) nei nuovi altari virtuali: TikTok si trasforma in uno spazio rituale dove i memento materiali lasciano il posto a emoji, hashtag, sound design e coreografie audiovisive, veicolando una memoria identitaria che non documenta il passato ma lo modella in funzione di una maschera prescrittiva». Esempi di quest’uso deviato di Tik Tok sono, scrive Nicaso, «la celebrazione su TikTok degli arresti dei giovani camorristi o l’esaltazione della resistenza dei boss nelle carceri». Sono veri e propri «rituali digitali di solidarietà e di contestazione alle forze dell’ordine».

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Gli influencer della mafia

Esiste poi il mobinfluencing, una pratica che porta alla promozione dello stile mafioso quasi come fosse glamour e attrattivo. «Il mobinfluencer – fa notare Nicaso – si presenta come personaggio pubblico, raramente anonimo, che cura in modo maniacale la propria reputazione digitale. Propone un racconto glamourizzato della propria vita criminale, mettendo in primo piano gesti di generosità verso la comunità, filantropia, partecipazione a cerimonie religiose e civili, nonché protezione dei deboli. Punta così a trasformare il capitale criminale ereditato in capitale sociale e mediale. Gli esempi riportati – Crescenzo Marino, Junior Esposito, Tina Rispoli – mostrano come l’estetica Instagram e TikTok venga usata per consolidare un lifestyle di lusso, ricchezza, status e popolarità, conferendo al mafioso un ruolo di notabile locale e influencer».

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La seduzione del male

Già a marzo 2024, fa notare il professore Ravveduto, il procuratore Gratteri metteva in guardia dal fatto che «la camorra è molto evoluta nel dark web. Riesce a comprare la cocaina con transazioni virtuali, da milioni di euro, con “bitcoin” e “monero”». Su Tik Tok la vita del mafioso viene manipolata in maniera digitale tanto da diventare uno show. Le tecniche sono quelle, per esempio, del lip-sync (sincronizzazione delle labbra con tracce audio prese da altri contenuti), challenge virali, live, slide show, riprese d’ambiente, frasi congiunte a emoji, gif allegoriche (animazioni ripetute in loop). Il racconto si insinua velocemente e, spiega Ravveduto, «la morte, la sofferenza o persino la gioia sono tutte svuotate del loro significato per essere fruibili in pochi secondi. L’estetica mafiosa della piattaforma agisce come una lente distorta, trasfigurando la realtà in uno spettacolo che non esige etica, ma solo attenzione». Anestetizzati, i ragazzi recepiscono il messaggio filomafioso che viene imboccato loro.

Non a caso Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, scrive nella presentazione del Rapporto: «Non siamo, dunque, di fronte a un semplice fenomeno di costume, ma a un laboratorio culturale in cui le mafie sperimentano nuove forme di narrazione, avvalendosi di dinamiche tipiche dell’industria dell’intrattenimento digitale: musica, coreografie, hashtag, montaggi accattivanti. È qui che si costruiscono e si consolidano consensi, soprattutto tra i più giovani, trasformando la mafia in un prodotto mediatico seducente, accessibile e apparentemente privo di conseguenze».